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Perché i giovani voteranno No al referendum

A pochi giorni dalle votazioni, i sondaggi indicano che più della metà degli under 35 voterà contro la riforma costituzionale come forma di protesta e per dare un segnale: anche voi ci avete deluso

Firenze, manifestazione contro la Leopolda 2016. Foto Ansa.

Firenze, manifestazione contro la Leopolda 2016. Foto Ansa.

In un articolo pubblicato sull’ultimo numero de L’Espresso, Emiliano Fittipaldi racconta che in questa lunga ed estenuante battaglia referendaria – di cui abbiamo già avuto modo di occuparci – il Presidente del Consiglio Matteo Renzi non abbia potuto contare su quelli che, in teoria, sarebbero dovuti essere suoi alleati naturali: i giovani. Il governo più young della storia repubblicana non è popolare tra gli Under 35. «La Boschi» scrive Fittipaldi «invita i giovani a votare Sì ‘per non farsi rubare il futuro’. Il rischio è che votino No perché Renzi non ha saputo rispondere alle emergenze del presente». Secondo alcune rilevazioni condotte a ottobre da Ipr e Tecnè, gli Under 35 scelgono il No nel 56% e nel 60% dei casi. Percentuali molto importanti che, a prescindere dal risultato di domenica 4 dicembre, dovrà far pensare Matteo Renzi, il Partito Democratico e quello che rimane della “sinistra di governo” in Italia.

A prescindere dalle argomentazioni portate dal Ministro per le Riforme – non si capisce in base a cosa “votare Sì” = “futuro” sia un’equazione perfetta – fa pensare come questo governo, con un Presidente del Consiglio giovanissimo, ministri alla prima esperienza e una retorica incentrata sulla velocità, sul cambiamento e sulla “rottamazione” non sia riuscito a essere percepito come un’occasione di coinvolgimento, ma l’ennesimo ‘tradimento’ della classe dirigente verso una generazione sempre più rassegnata. Gli Under 35, infatti, si stanno allontanando sempre di più dalla vita pubblica, si disinteressano della politica, rifuggono le forme di partecipazione ‘classiche’. Come se essere “neet” (Not in Education, Employment or Training, ovvero non essere impegnati con lo studio, né con il lavoro né con formazione professionale) fosse anche un atteggiamento di reazione verso chi non ha fatto niente per migliorare le cose: resistenza passiva, voto di protesta, nessuna voglia di mischiarsi con il nemico. Giusto? Sbagliato? Non importa, è un dato su cui urge riflettere e che resta alla base del recente successo elettorale di formazioni politiche che hanno spostato la barra dello scontro non sull’asse “destra vs sinistra” ma su quella “sistema vs anti-sistema”.

Per Matteo Renzi sta risultando molto difficile fare breccia nel cuore di un elettorato stanco e disilluso. La politica è percepita come distante, astratta, lontana dai problemi veri che un giovane appena uscito dall’università o dalle scuole superiori deve affrontare. Da una più generale sfiducia e diffidenza da parte di chi è arrivato prima di loro (il conflitto generazionale c’è) a una mancanza di opportunità che si possano tradurre in un impiego, se non stabile, almeno regolare e che dia la possibilità di crescere. In Italia ci sono i salari più bassi d’Europa. La fuga dei cervelli si traduce in una onda migratoria al contrario. E ogni volontà di costruire un futuro (che sia nella professione, o negli affetti) si scontra con una situazione pregressa che ogni nuova classe politica dichiara di voler scardinare senza mai riuscirci veramente. Privilegi, disuguaglianze e disparità di trattamento, quadro pensionistico a dir poco incerto. Le politiche sociali al tempo della scarsità dopo aver sovradimensionato l’assistenza ai tempi dell’abbondanza. Se la politica non dà risposte, o dimostra di provarci con provvedimenti inefficaci (stando alle statistiche, pure il Jobs Act non sta andando come previsto e l’uso dei voucher per pagare chi lavora e non chi presta occasionalmente servizio è l’ennesima pietra dello scandalo), la sfiducia è inevitabile e, quando chiamati a votare, si agisce di conseguenza. Si vota No per dare un segnale: anche voi ci avete deluso.

Come abbiamo spiegato, il referendum di questa domenica non è più una consultazione sulla Carta Costituzionale. È un voto politico sull’operato del governo e sulla persona di Matteo Renzi. La storia del ragazzo di Rignano sull’Arno che si prende il più grande partito riformista d’Italia con la pretesa, sacrosanta, di rivoltarlo come un calzino per cambiare l’Italia e renderlo un paese capace di affrontare il ventunesimo secolo rischia di interrompersi bruscamente. Curioso che il colpo di grazia possa arrivare proprio da chi, in quel cambiamento, avrebbe voluto crederci e avrebbe voluto vederlo realizzato. Ancora più curioso constatare che quella domanda di futuro da chi si sta lentamente avviando verso una vita matura con sempre più incertezze e rassegnazione resterà quasi sicuramente inevasa.

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