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La sinistra in Sud America ha fallito?

Tra crisi economica, narcotraffico, multinazionali e corruzione, quello che sta succedendo da mesi nella regione può portare alla fine dell'epoca progressista

La sinistra in Sud America ha fallito?

Foto IPA

Le regioni del Centro e del Sud America insieme ai Caraibi stanno vivendo mesi incandescenti, in diversi Stati – dal Brasile all’Honduras – nel 2017 è accaduto di tutto. stiamo assistendo alla crescita esponenziale di una instabilità politica e sociale dettata dalla crisi economica cui si intersecano indebitamento, popoli impoveriti, narcotraffico, scenari globali (lo scontro U.S.A. vs Cina), compagnie multinazionali e tanta, tanta corruzione.

Tramonto del “progressismo”

La “politica” in sud America nel breve periodo sembra guardare a destra dopo oltre un decennio “progressista” con presidenti come Kirchner in Argentina, Lugo in Paraguay, Lula in Brasile, Correa in Ecuador, Morales in Bolivia, Mujica in Uruguay, Funes in El Salvador, Petro in Colombia e Bachelet in Chile; paesi in cui ci sono state politiche progressiste che avevano innescato dei cambiamenti importanti senza però determinare cambiamenti strutturali nella società. Politiche che hanno avuto il merito di guardare verso “il basso” ma che sono state stritolate da interessi di rendita e corruzione che spesso hanno interessato le classi politiche al potere. Oggi sembra che tutto – un po’ come in Europa – sia pronto per un periodo di grande instabilità dettata da almeno tre oggettivi fattori: le élite economiche che si saldano con le destre per cercare senza successo di riorganizzare la struttura degli Stati, le ruberie, le tangenti e le masse popolari – organizzate e non – che da sempre, in tutto il continente, sono in rivolta. Sono gli strati sociali più bassi, “risvegliati dal torpore progressista”, il fattore determinante del vulcano in piena ebollizione come è oggi il Sud America.

Passato e futuro coloniale

Dopo il lungo periodo del “giardino di casa” americano – negli ultimi 30 anni il continente ha certamente fatto passi da gigante nel campo della lotta alla fame e della scolarizzazione ma rimangono comunque altissime le disuguaglianze sociali che sono il nodo irrisolvibile al pari del tentativo di sfruttamento delle sue risorse naturali che ieri, oggi e soprattutto domani fanno gola alle superpotenze e alle grandi corporazioni economiche. Una ricchezza che è risorsa appetibile e necessaria: in un futuro in cui saremo oltre nove miliardi entro il 2060, sarà necessario depredare, svendere o utilizzare le risorse come merce di scambio; non dimentichiamo che cambiamenti climatici e il surriscaldamento globale saranno benzina nella lotta per accaparrarsi risorse agricole e acqua. Ecco perché il ruolo dell’America Latina è fondamentale, ecco perché gli Stati Uniti stanno riscoprendo antiche passioni verso sud e non vedono di buon occhio i molti stati – dal Venezuela in giù – che stringono accordi commerciali di lungo periodo con la Cina.

Oggi e domani

Ma rimanendo al presente, il fatto centrale di questo periodo è e rimarrà l’ingovernabilità, come sta succedendo in Argentina in questi giorni dove la crescente resistenza dei settori popolari contro le politiche di spoliazioni del governo di Mauricio Macri ha generato una sospensione del dibattito parlamentare su una delle peggiori riforme economiche – quella sulle pensioni – della recente storia albiceleste. Le cronache argentine di questi giorni ci obbligano a guardare oltre Atlantico seguendo le parole del giornalista uruguaiano Raul Zibechi: “la disarticolazione geoplitica globale si traduce nel nostro continente latinoamericano in una crescente ingovernabilità che colpisce i governi di tutte le correnti politiche. Non ci sono forze in grado di portare ordine in ogni paese, ma nemmeno su scala regionale e tanto meno su scala globale.” Insomma una forte tendenza vero il “caos”. Non a caso, durante l’estate – quando gli scontri di piazza in Venezuela tra lealisti e anti-chavisti stavano toccando il loro culmine – in molti hanno parlato del Venezuela come “possibile Siria in salsa Sud Americana”, perché il Venezuela è un fattore determinante per i tanti tantissimi interessi che oligarchie e “blocchi” di potere mondiali hanno sul continente sudamericano.

Di seguito trovate un piccolo borsino, limitato e non esaustivo, della situazione suadmericana.

Colombia

Il grande pubblico lo ha (ri)scoperto grazie agli amici di Netflix ma negli ultimi anni il paese ha generato vasti cambiamenti economici e politici senza dare risposte ad ampi settori dell’economia – sanità ed istruzione in primis – portando così a imponenti proteste di strada culminate con decine di feriti e alcuni morti durante tutto il 2017. Un paese che in questi anni ha cercato di chiudere i conti con la guerra civile che lo dilaniava: dopo gli accordi di pace infatti, i ribelli delle FARC hanno deposto le armi, a seguire c’è stato un referendum – vinto dal si – per legittimare e amnistiare gli ex guerriglieri dando loro la possibilità di organizzarsi in associazioni politiche e di candidarsi alle elezioni. Un passo che ha diviso il paese e riarmato paramilitari e squadroni della morte che hanno ucciso, solo quest’anno, 32 ex combattenti delle FARC e ben 166 leader sociali.

Brasile

Il Brasile era ad inizio dei ’00 la locomotiva del continente, le politiche popolari del presidente Lula favorite da una congiuntura economica hanno subito un contraccolpo dovute soprattutto alla crisi globale e alla mala gestione del potere che ha generato una corruzione dilagante finendo per affondare – da dentro, con la magistratura – la nave progressista. Un periodo turbolento che ha risvegliato i settori popolari, già in agitazione negli ultimi tempi per la corsa agli investimenti fatti per Mondiali e soprattutto Olimpiadi. Solo nell’ultimo anno le proteste popolari hanno fatto oltre 500 feriti e almeno tre morti, senza contare intere metropoli in stato di guerra con uso costante delle forze armate. Il Brasile è un’ottima cartina di tornasole per il discorso dell’instabilità: le élite esautorate dal potere, in questo caso con le incriminazioni per corruzione della presidente Dilma Rosseuf e dello stesso Lula, la crisi economica che si fa bancarotta in città come la Rio de Janeiro post-Olimpiadi, le classi popolari e la media borghesia impoverita in agitazione mentre le favelas sono ritornate a livelli di violenza e militarizzazione pari a quelli di venti o trent’anni fa.

Honduras

Oltre 15 morti e centinaia di feriti nelle ultime due settimane di proteste popolari contro il risultato delle recenti elezioni politiche. Una crisi arrivata meno di un decennio dopo il colpo di stato militare appoggiato dagli Stati Uniti che portò il Partido Nacional al potere. Nel mentre la corruzione è dilagata, le risorse del paese svendute o saccheggiate, il narcotraffico è un fattore per il PIL e le elezioni di pochi giorni fa – incostituzionali fin dal principio causa premier non ricandidabile – sono state oltremodo truccate con tanta evidenza che la maggior parte degli honduregni è scesa in strada determinando per il piccolo paese del sud America un clima insurrezionale – non ancora sedato nonostante le decine di morti, gli omicidi selettivi dei leader dell’opposizione.

Messico – Guatemala – San Salvador

Del Messico ne avevo parlato riprendendo il concetto di Narcostato, seguendo questa lettura, i vicini di casa Guatemala e San Salvador sono delle importanti stampelle per le mafie che fanno passare da questi due piccoli paesi oltre l’80% delle droghe che verranno distribuite sul suolo nord-americano, Due stati in mano a gang feroci come la M-13 in Salvador o che hanno recentemente subito un’invasione di organizzazioni mafiose messicane – prima Los Zetas e oggi il Cartello di Jalisco Nuova Generazione che hanno buon gioco a causa della corruzione inarrestabile e di una povertà endemica della popolazione.

Venezuela

Questo è uno dei nodi principali per il futuro di tutto il continente, è un punto nevralgico geograficamente e politicamente. È la terra di Chavez e della sua politica bolivariana che ha egemonizzato la politica di tutto il continente ma è anche il paese che più risente dei fallimenti del chavismo. Da un assunto si deve partire: ” La morte di Chávez ha privato il Venezuela e l’America Latina di un leader capace di mettere in marcia politiche che hanno tolto dalla povertà 70 milioni di persone nel continente”, una mancanza quella del leader che ha lasciato un vuoto enorme nel potere locale e nel resto del Sud America: ed è così che oggi il Venezuela è divisa in due fazioni pro e antichavismo, ed è una nazione asfissiata dalla crisi economica causata dalla caduta del prezzo del petrolio. In questa situazione questo presidente Maduro “è responsabile di una deriva autoritaria che non ha precedenti” mentre le opposizioni dopo la tentata spallata di questa estate – sfiorando la guerra civile e lasciando decine di morti sulle strade – stanno vivendo un momento di difficoltà. Ma è il ritorno alla fame, alla povertà, alle diseguaglianze che stanno fiaccando il popolo che, per ora, generosamente, resta dalla parte del Governo “post” chavista.

Argentina

Il nuovo governo “liberale” di Macri in questi giorni è in netta difficoltà: non riesce ad arginare le proteste sociali culti mate in scontri durissimi con la polizia con oltre 150 persone ferite. Macri è in carica da due anni esatti e la sua ricetta per cambiare – in meglio – l’Argentina sembra mirata a consolidare le élite di potere, la finanza e le multinazionali a discapito della popolazione. Ad ora i dati parlano di circa 6 milioni di poveri in più tra il 2015 e oggi, mentre la strada del Governo rimane la stessa: tagli sulla spesa pubblica, sui sussidi statali e riforme – come quella recente sulle pensioni – che stanno scatenando l’ira delle classi subalterne e non solo. A questo cima si aggiungono le proteste quotidiani delle organizzazioni sociali nei quartieri e nelle campagne che si saldano con la lotta delle popolazioni indigene Mapuche che vedeva tra i protagonisti il giovane Santiago Maldonado, ultimo desaparecido argentino che in questi mesi stava lottando con gli indios per il diritto alla loro terra sfruttata da decenni dal Gruppo Benetton e trovato cadavere poche settimane fa sulla riva di un torrente in Patagonia.

Perù

Proprio in queste ore rimbalzano le cronache di grandi manifestazioni con e scontri feroci tra polizia e ampi settori popolari che da mesi sono in lotta con il governo di destra. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la scelta di concedere la grazia all’ex presidente Fujimori condannato per violazione dei diritti umani: quand’era a capo del governo fu protagonista della guerra sporca contro le opposizioni politiche e soprattutto contro le organizzazioni guerrigliere dei Tupac Amaru e di Sendero Luminoso. Un evento che coincide con una ripresa delle dispute sociali e ambientali sulle risorse idriche: in Perù – come in tutto il resto dell’America Latina – le multinazionali minerarie sono accusate di inquinare i fiumi, di catturare l’acqua e di ridurne la quantità disponibile agli agricoltori. Scioperi e scontri hanno fatto oltre 60 morti negli ultimi 5 anni.

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