Warmduscher, la recensione di 'Whale City' | Rolling Stone Italia
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Warmduscher, psichedelia punk senza ketamina

Il figlio un po’ stronzo di Fat White Family, Paranoid London e Insecure Men ora si è innamorato. Il risultato? Un album, 'Whale City', pieno di cori e chitarroni

Warmduscher, foto press

“Per la cronaca, durante la composizione di Whale City non è stata consumata Ketamina”, specificano i Warmduscher su Facebook, e non si capisce perché non dovremmo credergli. Forse è per quella volta in cui Jack Everett (batteria) si è calato sei Quaalude ed è sceso dal palco dopo aver suonato appena due pezzi. O forse perché l’uso disinvolto di anestetici dissociativi è un buon modo per inquadrare Khaki Tears, il loro album d’esordio un po’ post-punk un po’ soul psichedelico.

A tre anni di distanza la miscela è la stessa ma si sorride di più: il figlio un po’ stronzo di Fat White Family, Paranoid London e Insecure Men, da cui provengono i vari membri del gruppo (tra tutti, il sorrisone di Saul Adamczewski), ora si è innamorato e nel calderone degli arrangiamenti abbondano cori e accordi maggiori.

Warmduscher, foto press

Whale City è un concept album su una città immaginaria, versione stralunata della New York anni ’70 dove convivono ritratti di escort sovrappeso con il vizietto dell’omicidio (Big Whilma), chitarroni garage (The Sweet Smell of Florida) e ballad da prom night (1000 Whispers). In coda Summertime Tears e un ritornello infantile e bellissimo, a dimostrazione che a volte la melodia giusta arriva per caso, anche quando fai un disco in due giorni, anche se improvvisi quasi tutto.

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