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VIET CONG – VIET CONG

“Che ci fanno quattro canadesi in una macchina?”. “Un disco”. La scena canadese sembra talmente in forma che pure da un viaggio estenuante (un tour da 50 date) per paesaggi desolati, o dalla vicinanza forzata, può venir fuori qualcosa, a parte la depressione. Nasce così Viet Cong, un album letteralmente concepito on the road, da […]

“Che ci fanno quattro canadesi in una macchina?”. “Un disco”. La scena canadese sembra talmente in forma che pure da un viaggio estenuante (un tour da 50 date) per paesaggi desolati, o dalla vicinanza forzata, può venir fuori qualcosa, a parte la depressione.Nasce così Viet Cong, un album letteralmente concepito on the road, da due ex membri dei Women (Matt Flegel e Mike Wallace) e due chitarristi (Scott Munro e Danny Christiansen). Già dal nome che si sono scelti, si intuisce che i Viet Cong rivendichino un certo spirito combattente, anche se è difficile immaginare grosse battaglie da combattere a Calgary, la città del Canada col più alto reddito pro-capite.Viet Cong è un album cupo, da angoscia ecosostenibile, con un ammiccamento al kraut rock, ritornato di moda, che stempera le derive post-punk più tetre e ossessive virandole verso una certa psichedelia 60’s. Vale l’album l’intro strumentale di March of the Progress, prima che arrivi la voce a rendere tutto anonimo.

“Che ci fanno quattro canadesi in una macchina?”. “Un disco”. La scena canadese sembra talmente in forma che pure da un viaggio estenuante (un tour da 50 date) per paesaggi desolati, o dalla vicinanza forzata, può venir fuori qualcosa, a parte la depressione.

Nasce così Viet Cong, un album letteralmente concepito on the road, da due ex membri dei Women (Matt Flegel e Mike Wallace) e due chitarristi (Scott Munro e Danny Christiansen). Già dal nome che si sono scelti, si intuisce che i Viet Cong rivendichino un certo spirito combattente, anche se è difficile immaginare grosse battaglie da combattere a Calgary, la città del Canada col più alto reddito pro-capite.

Viet Cong è un album cupo, da angoscia ecosostenibile, con un ammiccamento al kraut rock, ritornato di moda, che stempera le derive post-punk più tetre e ossessive virandole verso una certa psichedelia 60’s. Vale l’album l’intro strumentale di March of the Progress, prima che arrivi la voce a rendere tutto anonimo.

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