'Vampyr', la recensione | Rolling Stone Italia
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‘Vampyr’, era così difficile fare un bel gioco sui vampiri?

Dopo il disastroso 'Remember Me', Dontnod ha sfruttato il successo di 'Life is Strange' per produrre un titolo coraggioso, il primo grande gioco dedicato ai mostri più sensuali dell'horror

C’è una leggenda, nel mondo dei videogame, secondo cui non ci potrà mai essere un titolo di successo dedicato ai vampiri. Bram Stoker’s Dracula del 1993, basato sul film di Coppola, aveva le migliori potenzialità, ma fu un flop. Vampire: The Masquerade, del 2004, era uno splendido gioco di ruolo Troika Games, ma lo sviluppo travagliato e il marketing insufficiente ne decretarono il fallimento.

Numerosi altri esempi non sono bastati a far desistere Dontnod dal produrre questo Vampyr. Il team francese è abituato a rischiare: il suo primo splendido titolo, Remember Me, andò talmente male da mettere in ginocchio la società, che ricorse al crowdfunding per produrre un particolare gioco a puntate, Life is Strange. Un successo clamoroso che non conosce fine. Visti i suoi titoli, e la sua storia di sana irresponsabilità, Dontnod era l’unico team dal quale attendersi un gioco di vampiri davvero diverso.

E così ecco una Londra del 1918 devastata dall’influenza spagnola, in cui il dottor Jonathan E. Reid si ritrova trasformato in un vampiro, nel bel mezzo del classico gioco di ruolo 3D, con visuale in terza persona. Fin qui tutto normale, almeno fino a quando scopri che il vampirismo non è motivo sufficiente a sciogliere il Giuramento di Ippocrate fatto da Reid. Il quale vive l’eterno conflitto tra nutrirsi uccidendo degli esseri umani e preservarne l’incolumità, auto-condannandosi a un’esistenza di stenti e sofferenze.

Su questo diabolico gioco di compromessi si fonda la struttura di gioco, che al cospetto di un’ambientazione basata su cliché, che ammicca al grande pubblico, nasconde una rara profondità. Nelle tue mani il dottor Reid può trasformarsi nel vampiro più spietato della storia o, al contrario, arrivare al termine dell’avventura senza aver versato una sola goccia di sangue.

Non sarà comunque una passeggiata: a peggiorare la situazione arriva una mutazione del virus influenzale, che trasforma i malati in “skal”, esseri sempre affamati e con una forte propensione al cannibalismo. Vampyr, al cospetto delle apparenze, è un gioco di ruolo con una forte vocazione alle interazioni sociali, su cui basare le proprie strategie di gioco. Conversare con i personaggi che si incontrano di volta in volta lungo il cammino è funzionale non solo a portare a termine la partita, ma anche a scoprire nuovi modi per farlo.

Esempio: hai davanti un’anziana madre e il figlio, chi sacrificherai in nome della tua fame sanguinaria? Ci sono conseguenze per ogni tua scelta. Vampyr attinge a piene mani dall’esperienza di Life is Strange, ereditandone la maturità e profondità narrativa, ma calandola in un contesto fantasy dal grande richiamo.

La sensazione, anche al di là dei tanti limiti tecnici che il titolo presenta, tra cui una grafica non certo d’ultimo grido, è che gli sviluppatori francesi abbiano finalmente trovato il modo di sfatare la leggenda e farci piacere i vampiri anche su una console. Mica poco.