‘Una giusta causa’, la recensione: il biopic sull’eroina dei diritti, oggi simbolo anti-Trump | Rolling Stone Italia
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‘Una giusta causa’, la recensione: il biopic sull’eroina dei diritti, oggi simbolo anti-Trump

Felicity Jones interpreta Ruth Bader Ginsburg, seconda donna nominata alla Corte suprema degli USA e icona femminista

Felicity Jones nei panni di Ruth Bader Ginsburg

Foto: Jonathan Wenk/Focus Features

Ruth Bader Ginsburg — la famigerata RBG che per 25 anni ha scosso la Corte Suprema con il suo pensiero indipendente e provocatorio — sicuramente merita un film biografico. A 85 anni la giurista è un’icona al punto da essere interpretata da Kate McKinnon sul Saturday Night Live come una palla di energia che si mette a ballare ogni volta che lancia una “Ginsburn”. È una rockstar. E chiunque voglia vedere un ritratto completo di Ginsburg può guardare RBG, il documentario uscito quest’anno.

Una giusta causa è più simile a una origin story che cattura Ginsburg mentre inventa se stessa, evidenziando gli alti e bassi del suo periodo formativo. Si potrebbe intitolare RBG — Gli anni giovanili. Sebbene Felicity Jones (Rogue One, La teoria del tutto) possa sembrare una scelta eccentrica per interpretare l’icona ebraica della giurisprudenza nata a Brooklyn, la talentuosa attrice britannica non ha problemi a trovare il rigore intellettuale e la spinta che tratteggiano questa incredibile bomba di energia.

Il titolo originale On the basis of sex riflette la lunga battaglia di Ginsburg contro la discriminazione di genere, quindi è giusto che il film sia diretto da una donna. Mimi Leder (The Peacemaker, Deep Impact) rinuncia all’innovazione cinematografica per raccontare la storia nel modo più chiaro e schietto possibile, nello stile del documentario RBG. Dai giorni in cui sfidava l’élite maschile al corso di legge dell’Università di Harvard – era una delle nove donne in una classe di circa 500 uomini – al suo ritiro dal mondo accademico (quando, laureata e prima della classe, veniva rifiutata dai maggiori studi legali di New York), Ginsberg non ha mai incontrato ostacoli che non ha potuto superare.

E ne ha trovati parecchi: il suo matrimonio con il compagno di studi Marty Ginsburg (Armie Hammer) subì un brutto colpo quando, poco dopo la nascita della figlia nel 1955, a lui fu diagnosticato un cancro ai testicoli. Ruth ha frequentato le sue lezioni e ha preso appunti fino alla sua guarigione. Il film si impegna a mostrare i Ginsburg (nel 1965 avranno anche un figlio) come complici, nonostante le loro impegnative carriere. Mentre Ruth insegnava e lavorava anche per l’American Civil Liberties Union con il capo dell’ufficio legale Mel Wulf (Justin Theroux), Marty diventava come esperto fiscale.

Chi pensa che il film presenti un’immagine troppo rosea della vita domestica di Ginsburg potrebbe essere sostenuto del fatto che la sceneggiatura sia scritta da Daniel Stiepleman, che è il nipote di Ruth. Eppure tutte le questioni giuridiche vengono affrontate mentre il film si lancia negli anni ’70 con l’ascesa del movimento femminista (Kathy Bates è perfetta nei panni dell’avvocato progressista Dorothy Kenyon) e Ruth trova la svolta di cui aveva bisogno. Grazie a Marty scopre il caso Moritz contro l’IRS (l’agenzia governativa deputata alla riscossione dei tributi, ndt) — una disputa fiscale del 1972 nella quale a Charles Moritz (Christian Mulkey), un uomo del Colorado, viene negata una detrazione di 296 dollari nonostante lui sia impegnato a prendersi cura dell’anziana madre malata. Fondamentalmente la legge afferma che questo tipo di detrazione può essere accordata solo alle donne. Ginsburg vuole dimostrare il contrario.

L’ironia è che Ruth trova la sua strada per combattere i pregiudizi legalizzati contro la donna difendendo un uomo. E guardarla all’opera, con Marty al suo fianco, non è solo un avvincente dramma legale, ma uno sguardo storico su come una donna ha contribuito a far esplodere il mito che la sottomissione femminile sia parte dell’ordine naturale. Nel finale del film c’è anche la vera e propria RBG. E vi verrà voglia di gridare la vostra approvazione — il che significa che questo film può affermare a tutti gli effetti “missione: compiuta”.

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