Tim Hecker, la recensione di 'Konoyo' | Rolling Stone Italia
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Tim Hecker: ‘Konoyo’ è ambient orientale del V secolo

Mentre una generazione di produttori insegue i suoni di un Giappone idealizzato, per il suo nono album Hecker è andato dritto alla fonte, registrando con un’orchestra di strumenti antichi

Tim Hecker

La maggior parte dei suoni nostalgici e iper-reali emersi dalla nuova elettronica arriva da un Giappone idealizzato e inesistente. La vaporwave e il future funk vivono di sample burrosi di boogie orientale; l’ambient cerca di riprodurre la freddezza dei loro anni ’80 new age; la pc music giocherella con le esagerazioni del J-Pop più “kawaiii”. Persino gli artisti più potenti e d’avanguardia – in R Plus Seven Oneohtrix Point Never suona come un koto sintetico, e Jlin affida l’apertura di Black Origami a una sorta di shamisen computerizzato – prendono i suoni del folk giapponese e li trasformano, facendoli passare attraverso gli specchi di una casa degli orrori digitale.

Con il suo nono album Konoyo, l’icona della musica ambient contemporanea Tim Hecker fa una saggia inversione. La maggior parte del materiale è acustico, registrato dai membro di Tokyo Gakuso, un ensemble che suona gagaku – musica tradizionale per una danza che ha radici nel V secolo -, mescolato a composizioni originali. Ci sono una manciata di strumenti a fiato – gli acuti shō di bambù, gli esili hichiriki, i sognanti ryuteki – e alcune percussioni. Si tratta di un territorio nuovo per Hecker, ma funziona in maniera simile a quanto fatto nel 2011 con Ravedeath 1972; al posto del pianoforte e delle manipolazioni shoegaze, però, ora ci sono strumenti antichi.

Tim Hecker

Nonostante la sua biografia dica che Hecker è stato “attirato dalla semplicità e dall’eleganza”, ci sono parti di questo album che suonano di un’intensità soffocante: i sospiri di This Life e i droni di Keyed Out sono enormi colate di power ambient; i momenti più quieti, come il finale di In Death Valley o l’inizio degli splendidi 15 minuti di Across to Anoyo (il pezzo forte dell’album) assomigliano all’ambient nostalgico di questa generazione, ma suonato da una vecchia orchestra analogica.

Melodie mutanti, fruscii opprimenti e una tavolozza di suoni nuovi: la musica di Tim Hecker è tanto nuova quanto familiare.

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