‘The Prom’: come ammazzare un musical di Broadway a colpi di ‘Glee’ | Rolling Stone Italia
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‘The Prom’: come ammazzare un musical di Broadway a colpi di ‘Glee’

Meryl Streep, mattatrice di un cast di star come Nicole Kidman e James Corden, prova a salvare la baracca. Ma l’adattamento firmato Ryan Murphy dello show applaudissimo a teatro è un mezzo fallimento

Meryl Streep e, sullo sfondo, Andrew Rannells, Kerry Washington, Jo Ellen Pellman e James Corden in ‘The Prom’

Foto: Melinda Sue Gordon/Netflix

The Prom inizia con una pessima recensione. Ad essere precisi, l’adattamento in stile “ricchi premi e cotillon” del musical in scena a Broadway dal 2016 al 2018 parte con un brutto episodio di discriminazione: Emma Nolan (Jo Ellen Pellman), maturanda alla James Madison High School di Edgewater, Indiana, vuole portare la sua ragazza al ballo di fine anno. Ma la signora Greene (Kerry Washington), presidente dell’associazione genitori e insegnanti, non glielo vuole permettere. Sta addirittura pensando di cancellare la festa, lasciando sgomenti Emma, il preside Tom Hawkins (Keegan-Michael Key) e l’intero corpo studenti. «Ricordati: la gente dell’Indiana fa schifo», canta la nostra eroina, e ti pare di sentire l’intero ente del turismo locale additare lo schermo e imprecare all’unisono, tanto da farti sanguinare i timpani ben prima dei titoli di coda. Poi ti viene in mente che quello è lo Stato che ha eletto Mike Pence alla carica di governatore e che ha regalato all’America il Religious Restoration Act, perciò: scusa Indiana, ti tocca raccogliere quello che hai seminato.

Ma torniamo a ciò che dicevamo. A migliaia di chilometri di distanza da quella cittadina, sta per debuttare Eleanor!, un colossale musical-biopic sulla vita di Eleanor Roosevelt. È interpretato non da uno, ma da due dei più celebri nomi della scena newyorkese. Cioè Barry Glickman (James Corden), il protagonista dall’acconciatura fonatissima che si prende assai sul serio e che, parlando del suo Franklin Delano Roosevelt, dice: «Non c’è nessuna differenza tra il presidente degli Stati Uniti e una celebrity: sia lui sia noi abbiamo il potere di cambiare il mondo»; e Dee Dee Allen (Meryl Streep), la diva delle dive, un’autentica leggenda di Broadway due volte vincitrice di un Tony – porta le statuette con sé nella borsa, e non vede l’ora di mostrarle a qualcuno – che pensa quanto sia stata fortunata l’ex first lady a trovare in lei la sua interprete.

Alla fine della replica, tutti vanno a festeggiare da Sardi: la prima recensione definisce il loro spettacolo il nuovo Hamilton. Ma poi ne escono altre, e la folla gaudente pian piano si disperde. Una recensione è particolarmente cattiva: Glickman viene preso di mira per aver offerto la performance più brutta e offensiva a cui colui che scrive si sia mai trovato di fronte; mentre la Eleanor di Allen «sembra una drag queen pagata per infilarti la bandiera americana giù per la gola». Il giornalista aggiunge che gli spettatori avrebbero fatto meglio, con gli stessi soldi, a comprare una corda per impiccarsi.

Che diavolo ne capiscono i critici? Attenzione: non siamo qui per difendere la nostra professione. Siamo dei mostri, lo sappiamo. Ma molti di noi amano i musical, e soprattutto i film tratti dai musical. Alcuni hanno addirittura pensato di chiamare il loro cane Arthur Freed (un celebre paroliere e produttore di musical, ndt). Altri ancora avranno di sicuro visto il bootleg della prima replica di The Prom su YouTube – non che queste cose esistano o siano mai esistite – perché non erano mai riusciti ad assistere allo spettacolo dal vivo. E anche se nessuno sta qui suggerendo di mettersi a guardare quel filmato invece del film, ora disponibile su Netflix, siamo moralmente obbligati a dirvi che questa versione non rende affatto giustizia al materiale originale. Sì, il copione è firmato dallo stesso paroliere, Chad Beguelin, e dal co-autore Bob Martin. Ci sono ancora il messaggio di amore e perdono, i riferimenti al mondo dello showbusiness, le canzoni orecchiabili e i dignitosi numeri di danza. Ma c’è, in aggiunta, una patina di leziosità, sorrisi finti, mani sudaticce; e una tendenza a portare tutto all’eccesso, come se fossimo a Las Vegas. Più che un adattamento, questo sembra un vero e proprio affronto al prototipo. Nessuno voleva una commedia musicale sottotono, ma nemmeno un simile TED Talk a tema tolleranza lungo più di due ore. E l’effetto Glee è il colpo di grazia inferto a questa acclamatissima produzione di Broadway.

Streep e Corden non sono le uniche star in modalità “attori che fanno gli stronzi”. Nicole Kidman veste i panni di Angie Dickinson (quella con la grande attrice di Senza un attimo di tregua è solo un’omonimia), membro del corpo di ballo di Chicago che da vent’anni sogna di ottenere la parte di Roxie Hart. (Ciò significa che si esibirà in un passo a due ispirato a Bob Fosse in cui ci spiega il potere taumaturgico dello “zazz”? Ovvio che sì!) A servire al bancone di Sardi c’è invece Andrew Rannells nel ruolo di Trent Oliver, attore diplomato alla Juilliard ed ex volto di una sitcom intitolata Talk to the Hand; ora cerca di arrotondare tra un ingaggio e l’altro preparando cocktail ai colleghi più fortunati di lui. (Ciò vuol dire che ripeterà per tutta la durata del film che è diplomato alla Juilliard e meriterebbe di più? Che domande!) Entrambi intuiscono che solo una grande riabilitazione pubblica potrebbe risollevare l’immagine di Allen e Glickman, e renderli due paladini della giustizia sociale (o social). Ed è proprio Angie a scovare su Twitter il “caso Emma Nolan”. Il quartetto si mette dunque in viaggio, destinazione Indiana. E voilà, via con le gag sui pesci fuor d’acqua (in realtà dei salmoni di primissima qualità) finiti dalla città in provincia.

Teoricamente, chiunque di loro è protagonista di almeno un grande numero musicale, persino Keegan-Michael Key (We Look to You). Come accade nello spettacolo originale, la performance “all that jazz” di Kidman sembra inserita a forza (il suo personaggio resta assente così lungo dal film che quasi ti dimentichi che c’è anche lei nel cast) e la foga di Rannells contro l’ipocrisia dei bigotti in Love Thy Neighbor ti ricorda perché a suo tempo pensavi che la sua nomination al Tony per The Book of Mormon si sarebbe dovuta tradurre in un premio. Pellman è l’esordiente del gruppo: neo-diplomata al corso di musical alla University of Michigan, ha quella voce acutissima per cui il pubblico di Broadway va in visibilio; ma vorresti urlare «Per favore, respira!» quando raggiunge certe note impossibili nella sua prima canzone: Just Breathe, appunto. La ragazza comunque ha talento. Ed è notevole l’alchimia tra lei e il prodigio del palcoscenico Ariana DeBose, nel ruolo della fidanzata di Emma. Ma non si può avere tutto. Che la performance übercamp e tutta mossette dell’effeminatissimo Corden sia un’offesa nei confronti del pubblico omosessuale, è questione di opinioni. Possiamo solo dire che il conduttore di late show ha ancora parecchia strada da fare, prima di diventare un vero mattatore da musical. Per ora sembra solo un fan piuttosto esagitato del genere: basterebbe metà di quell’esagitazione a far venire la nausea, ma la dose presente nel film è decisamente tossica. Ti amiamo già, James: non ci devi implorare di farlo.

Nicole Kidman e Jo Ellen Pellman. Foto: Melinda Sue Gordon/Netflix

Quanto a Meryl Streep… be’: è Meryl Streep. La professionista consumata, la dipendente più affidabile dell’industria del cinema, la regina dello schermo che non stanca mai, e che tutti conosciamo e amiamo. La sua Merylitudine resta un’istituzione dell’Olimpo di Hollywood, e anche se Dee Dee Allen non sarà un personaggio all’altezza di Joanna Kramer o Karen Silkwood, non si può resistere alla verve arrogante ed egomane da vera maestra che porta in scena. Le fonti usate per il ruolo le vedi chiaramente – un po’ di Tallulah Bankhead (volto dell’età d’oro del cinema, ndt), qualcosa di Patti LuPone e moltissimo di Miranda Priestly – ma ti viene comunque da battere le mani per tutti i modi in cui Streep riesce a lasciare la sua firma su quella che altrimenti sembrerebbe la semplice caricatura di una diva. (Regala la battuta più bella del film, quando viene accusata di essere una narcisista stagionata: «Non vedo che c’è di male in questo!») È una Meryl Streep divertita e divertente, e pure l’ingrediente migliore di The Prom. Se molte star di Serie A sono chiamate a Broadway come specchietto per le allodole per vendere più biglietti prima che il loro spettacolo vada in scena, l’attrice premio Oscar ti lascia con la sensazione di trovarsi sempre nel posto in cui dovrebbe essere. È una gioia assistere alla sua performance sospesa tra ironia e sturm und drang sulle note di It’s Not About Me, in cui usa la sua mantella rossa come fosse la muleta di un torero.

Se solo il film che la circonda fosse all’altezza di questi numeri da gran dama. È scontato dire che The Prom è il tipo di musical – pacchiano, gridato, pieno di momenti “tutti in pista!” – che funziona meglio sul palcoscenico. Ma vedere Ryan Murphy trasformare ogni elemento in un vacuo rumore bianco fa apparire l’esito ancora più moscio. La cinepresa del direttore della fotografia Matthew Libatique non si ferma mai (ma mai), al punto che ogni singolo momento sembra richiedere un carrello, una ripresa a 360 gradi e un’inquadratura dal dolly. L’uso di una fotografia dai colori ipersaturi è una scelta visiva precisa, ma presto diventa un pugno nell’occhio. Il montaggio sembra voler tagliare tutte le battute e le gag, per dare invece spazio alle inutili smorfiette che provocano. Questo musical dovrebbe essere una parabola di empowerment dove l’amore vince su tutto e le star liberal di Broadway riescono a cambiare il mondo, una cittadina alla volta. Il risultato è invece una specie di High School Musical con dieci doposcuola di troppo. «Questo non è un fallimento!», esclama Dee Dee nell’ultimo numero. Forse no: ma ci siamo vicini.

Da Rolling Stone Usa