‘The Politician’, una satira elettorale da scheda nulla | Rolling Stone Italia
Recensioni

‘The Politician’, una satira elettorale da scheda nulla

La nuova serie Netflix di Ryan Murphy punta tutto sull'ironia ma manca di umanità

Ben Platt in 'The Politician'

“Cercherò di sembrare più autentica d’ora in poi”, afferma Astrid (Lucy Boynton), fidanzata dell’eroe del liceo River (David Corenswet) all’inizio di The Politician, dopo che lui ha suggerito che il sesso con lei sembra falso. River insiste sul fatto che deve essere più autentica, non solo sembrarlo. “Non capisco”, risponde Astrid. “Qual è la differenza?”.

Sembra che il team creativo dietro la serie – gli ex collaboratori di Glee Brad Falchuk, Ian Brennan e il pezzo grosso di Netflix, Ryan Murphy – inavvertitamente parli di se stesso. Tutti e tre sono in grado di portare la massima autenticità sullo schermo: Pose, su cui hanno lavorato sia Murphy che Falchuk, è uno dei drama più meravigliosamente sinceri della memoria recente. Ma i tre hanno anche una sfortunata abilità nello svendere l’umanità di base dei personaggi per una battuta o un colpo di scena.

Se Pose mostra tutti i più grandi punti di forza di Murphy e Falchuk come creatori, The Politician esemplifica le più grandi debolezze – come se avessero delle versioni buone e cattive e avessero incaricato le seconde di occuparsi di questo show. È meschino, senza senso e completamente vuoto. I momenti in cui qualcuno sullo schermo sembra una persona con vere emozioni sono rari. Sembra che Murphy, Falchuk e Brennan stiano cercando di realizzare la propria versione di un film di Wes Anderson (tra l’altro visivamente bella) senza capire che sotto tutto quel rigore stilistico ci deve essere un comportamento umano riconoscibile e comprensibile.

Ben Platt (Dear Evan Hansen) interpreta Payton Hobart, il figlio adottivo di una ricca coppia di Santa Barbara (Bob Balaban e Gwyneth Paltrow, quest’ultima particolarmente disconnessa), che vive consumato dalla convinzione che un giorno diventerà presidente degli Stati Uniti. Quando lo incontriamo, insegue ossessivamente la presidenza della sua classe al liceo, ed è stupito dal fatto che l’amico River scelga di correre contro di lui. (Tutti gli attori sembrano troppo vecchi e sono stati scelti perché le stagioni successive dovrebbero seguire Payton e soci in altre elezioni future).

“Sono solo due ragazzini ricchi che lottano per attirare l’attenzione”, commenta un genitore, ma Payton e i consulenti Alice (Julia Schlaepfer), McAfee (Laura Dreyfuss) e James (Theo Germaine) trattano ogni colpo di scena con una gravità e un’isteria perfette per il Super Tuesday delle primarie. Studiano i sondaggi e discutono se agire con il sospetto che Infinity, la candidata alla vicepresidenza di Payton (Zoey Deutch, nella sua migliore imitazione di Gypsy Rose Blanchard di The Act), non sia davvero malata di cancro ma solo manipolata da sua nonna Dusty (la musa di Murphy Jessica Lange).

La loro propensione a trasformare anche delle piccolezze in una questione di stato è pensata per essere satirica, ma è tutto a un livello così da cartone animato che nessuna delle battute colpisce, e niente di quello che fanno i personaggi ha il minimo senso. I sostenitori della cerchia interna di Payton hanno dedicato il loro futuro alla certezza di essere di fronte a un candidato generazionale, eppure lo show non ne fornisce prove. Payton si preoccupa di essere un sociopatico in erba – e non è sicuro che si tratti di un vantaggio o un deficit per la sua carriera – ma tutti intorno a lui sono altrettanto spietati e alienati.

A volte Platt o una delle sue co-star si mettono a cantare e, per quei pochi preziosi minuti, Payton sembra incredibilmente reale, al punto che viene da pensare che The Politician sarebbe stato meglio come musical, perché il genere avrebbe perdonato un po’ di artificialità. Ma queste esplosioni di genuinità sono poche e lontane tra loro – incluso un finale (che introduce Judith Light, Bette Midler e un arco narrativo completamente nuovo) che suona come se Murphy, Falchuk e Brennan avessero optato per produrre la premiere della seconda stagione con un anno in anticipo. Con il redditizio accordo di Murphy su Netflix, è una scommessa che potrebbero fare in totale sicurezza. Ed è davvero un peccato che lo abbiano fatto in uno show che si abbandona ai loro peggiori impulsi.

Altre notizie su:  Ryan Murphy