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‘The Menu’: la lotta di classe è un piatto che va servito freddo

Gli strepitosi Ralph Fiennes e Anya Taylor-Joy sono i protagonisti di una satira culinaria che non sempre va a segno, ma che sa divertire parecchio. Merito anche del regista Mark Myold, che si è fatto le ossa con ‘Succession’
3 / 5

Prenotare un tavolo all’Hawthorne è notoriamente difficile. Il ristorante ha solo 12 coperti (e il costo della cena è di 1.250 dollari a cranio) e il menu proposto ogni giorno è irripetibile. Si trova su un’isola in cui vive l’intero staff, e che fornisce tutta la materia prima necessaria per i piatti. È considerato la miglior esperienza culinaria del mondo. E lo chef… be’, è Julian Slowik, e ha la fama di essere, più che uno chef, un vero e proprio artista, un innovatore, un genio. Varcare la soglia del suo locale vuol dire entrare in un firmamento di stelle Michelin.

È qui che è ambientato The Menu, cioè la storia di una tortura che, più procede, più peggiora. La domanda è: ma qui esattamente chi sono i torturatori e chi i torturati? Il film inizia come una satira sociale, passa a territori quasi horror e finisce con una morale che ti fa arrosto (letteralmente) in diversi modi. Il regista Mark Mylod offre una personale e grandguignolesca versione dell’annosa relazione servo-e-padrone che può non soddisfare tutti i palati. Ma se amate le parabole di vendetta piene di sangue, allora questo film fa per voi. Dovete solo avere fame di… distruzione.

La trama è servita. Un gruppo di commensali si presenta all’Hawthorne per una cena esclusiva. Ci sono i tre scagnozzi di un imprenditore ramo finanza (Arturo Castro, Mark St. Cyr e Rob Yang) seduti accanto a una star del cinema sul viale del tramonto (John Leguizamo) e alla sua sfruttatissima assistente (Aimee Carrero). Accanto alla porta d’entrata, c’è una vecchia coppia di coniugi (Reed Birney e Judith Light) che sono habitué del ristorante. Al centro della sala siedono una critica gastronomica molto nota e molto severa (Janet McTeer) e il direttore del giornale per cui scrive (Paul Adelstein). Nessuno sa esattamente chi sia l’anziana signora in un angolo che non smette di trangugiare vino. La responsabile di sala (Honh Chau) regna sugli ospiti con l’autorevolezza di un maggiordomo e l’imperturbabilità di una vipera.

C’è poi il compulsivo food influencer Tyler (Nicholas Hoult, che dopo The Great offre un altro strepitoso ritratto di cazzone irresistibile) e la sua accompagnatrice. Il suo nome è Margot (Anya Taylor-Joy), ed è stata chiamata all’ultimo momento in qualità di “+1”: la ragazza che avrebbe dovuto andare con Tyler ha, diciamo così, dato forfait. A Margot non può fregare di meno di mangiare capesante scottate su uno squisito letto di ostriche e caviale, ma Tyler – che ha visto tutti gli episodi di Chef’s Table due volte! – si sente letteralmente in paradiso. Quando lo chef (Ralph Fiennes) fa la sua apparizione, cominciando a impartire ordini al suo team con un semplice battito di mani e proclamando con tono da filosofo che gli ospiti devono “gustare, assaporare, godere, e non semplicemente mangiare”, Tyler è in totale estasi. Quell’uomo è il suo eroe.

Ma lo chef sembra più interessato a Margot. Ha sostituito l’accompagnatrice inizialmente prevista e, come Julian dirà in seguito alla stessa Margot, “non ci sono sostituti all’Hawthorne: non era previsto che tu fossi qui”. Qualche portata più avanti, la giovane donna capirà perché la sua presenza non era parte del grande piano dello chef.

È nella prima ora che The Menu regala i suoi momenti migliori, prima di diventare un thriller barocco che vuole mandare a fanculo tutti gli appassionati di alta cucina, le assurdità della ristorazione di lusso e i ricchi in generale. Gli stessi piatti (preparati dallo chef Dominique Creen dell’Atelier Creen) sono puro food porn, anche se gli sceneggiatori Seth Reiss e Will Tracy puntano a prendere principalmente di mira la ridicola deriva social della cucina. Il pane è servito… senza pane, di modo che la sua assenza ti faccia riconsiderare le salse che di solito servono solo da accompagnamento; un vino viene presentato come ottenuto “non da un singolo vigneto: proprio da una singola vigna”; un altro dovrebbe lasciare “note di quercia, ciliegia e tabacco, ma anche un senso di desiderio e rimpianto”. Il modo quasi perverso in cui Tyler esulta a ogni morso vi sembrerà quasi esagerato, ma solo se non vi siete mai imbattuti, anche solo su Instagram, in personaggi del genere. Una battuta in particolare sembra quasi un “pizzino” a Stanley Tucci (l’attore è protagonista di Searching for Italy, docuserie a tema culinario di grande successo, ndt).

Poi, grazie a due piatti che hanno il nome di “Memoria” e “Il caos”, la cena si trasforma in un vero e proprio pezzo di performance art, e The Menu inizia ad affilare – anche in questo caso in senso letterale – i coltelli. È qui che gli aspetti orrorifici iniziano a prendere il sopravvento, rivelando che il piatto principale della serata sarà servito freddo. E confermandoci che tutto dipende dal lato del tavolo a cui sei seduto: quello di chi serve o quello di chi viene servito. Slowik capisce presto che Margot è seduta dalla parte sbagliata, e le loro scene insieme sono uno degli ingredienti più gustosi del film. Fiennes e Taylor-Joy sono due compagni di scena favolosi: sembra che vogliano esaltare l’uno la performance dell’altra, a colpi di sofisticatissima amoralità. Il successo ha fatto perdere a Slowik il suo essere un artista e, soprattutto, la sua capacità di provare gioia grazie al suo lavoro. Questo film vuole mettere in scena una sorta di ultima cena sullo sfondo della solita lotta di classe, un tema che a Mylod, in quanto regista-cardine di Succession, è assai caro.

Che la portata finale di The Menu – più che un vero e proprio terzo atto, un climax sopra le righe – sia il modo giusto di chiudere questa storia oppure no è solo questione di gusti. Certo è che la prima parte è molto originale e intelligente, rispetto a una chiusura più scontata. Alcuni dei temi più interessanti del film vengono messi sul tavolo ben prima dell’arrivo del conto, e il finale sembra quasi rendere tutto un po’ troppo ridondante. Ma è innegabile che questa specie di operetta satirica funzioni eccome. Mylod e il suo fantastico cast cuociono a bassa temperatura una tragicommedia feroce ed epicurea che va a segno. Avremmo solo voluto che restasse in forno ancora un po’.

Da Rolling Stone USA

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