‘The King’, Timothée Chalamet tra Shakespeare e ‘Game of Thrones’ | Rolling Stone Italia
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‘The King’, Timothée Chalamet tra Shakespeare e ‘Game of Thrones’

Anche se l’operazione di Netflix farà rivoltare nella tomba il Bardo, l’attore di ‘Chiamami col tuo nome’ e il collega Pattison sono talenti cristallini, molto di più della facciata da teen-idol

Timothée Chalamet in 'The King'

Foto: Netflix

Solo perché sentite già Shakespeare che si rivolta nella tomba, non lasciatevi scoraggiare e provate a guardare The King, con Timothée Chalamet nei panni del Principe Hal, il ragazzo che viene trascinato controvoglia in una sua personale versione di Game of Thrones. Questo melodramma è un mix di storie del Bardo – Enrico IV, parte 1 e 2, ed Enrico V – ridotto a due ore e ambientato nel XV secolo, ma con il linguaggio e l’urgenza di oggi. Traduzione: c’è a malapena un cenno al pentametro giambico del poeta. Lord Laurence Oliver (tutto patriottismo nobile) e Sir Kenneth Branagh (tutto durezza da strada e tormento interiore) hanno dato vita a Enrico V sullo schermo, rispettivamente nel 1945 e nel 1989, ma materiale secolare come questo non invecchia mai.

The King - Timothée Chalamet | Official Teaser Trailer | Netflix Film

Si sente che il regista australiano David Michôd (Animal Kingdom, The Rover) e il co-sceneggiatore Joel Edgerton volevano davvero provarci. Chalamet si cala con prudenza nel ruolo del principe che si accontenta di bere e lasciarsi andare con l’amico di bravate Sir John Falstaff (Edgerton) mentre suo padre, Enrico IV (Ben Mendelsohn, sempre affidabile e strepitoso), annuncia che il fratello minore di Hal, Thomas (Dean-Charles Chapman), più virile di lui, sarà il nuovo re. Ma Thomas non ha un grande futuro in questo mondo, e nemmeno in questo film. Hal dimostra il suo valore sul campo di battaglia quando affronta il traditore testa calda Hotspur (Tom Glynn-Carney) in un combattimento uno contro uno, che l’esile principe vince in maniera poco convincente.

Suonano le trombe: Hal diventa Enrico V, ignora il suo vecchio compagno di baldoria e corruga la fronte come ogni sovrano riflessivo che preferisce operare per la pace. È un vero peccato che ci sia una guerra con la Francia da considerare. Segue il ritorno di Falstaff che, contrariamente a quanto Shakespeare abbia mai considerato, si trasforma in un soldato e stratega militare di primo piano. È la sua attenzione al meteo – secondo le previsioni pioverà – che facilita gli inglesi, vestiti con armature leggere e armati di balestre, mentre i francesi, appesantiti dalle loro corazze e dal loro arsenale, affondano nel fango. Edgerton dà intelligenza e combattività al ruolo. E Michôd dirige la Battaglia di Azincourt con una verve che questo film avrebbe potuto sfruttare di più.

Il vero punto di forza di questa epopea storica è Robert Pattinson, che interpreta il Delfino con un accento francese sopra le righe e un’intelligenza provocatoria che buca lo schermo ogni volta che è in scena. L’estroso principe ha stupidamente ignorato suo padre, il re francese Carlo VI (Thibault de Montalembert), e ha scatenato una guerra, solo perché poteva farlo. Inoltre, come insegna la sceneggiatura, i pezzi grossi spesso si scontrano sulla base di stupidaggini private. Nel frattempo la vittoria degli Inglesi significa che Enrico V, come parte dell’armistizio, deve sposare Catherine (la bella Lily-Rose Depp), la figlia di Carlo. Lei però non ha nessuna intenzione di sottomettersi alla mascolinità tossica di Enrico V: c’è chi avrebbe potuto tirare fuori un bel drammone storico dal tema, peraltro attualissimo. Ma non è questo il caso.

Nel finale di The King ci sono numerosi colpi di scena che suggeriscono una miniserie in arrivo: la decisione tocca a Netflix. Michôd è troppo bravo per rimanere imprigionato in questo passo falso. E Chalamet e Pattinson sono talenti che vanno ben oltre la semplice facciata da teen-idol. Non ha senso usare Shakespeare, se togli ai suoi versi tutta la poesia e il significato. E non importa se Henry usa le parole del Bardo – “We few, we happy few, we band of brothers” (noi pochi, noi felicemente pochi, noi banda di fratelli) – per spronare i suoi soldati alla battaglia. In tutta questa mediocrità, è già tanto se riusciranno a combattere.

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