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Sturgill Simpson e il ritorno della frontiera

Il nuovo album dell'americano ‘The Ballad of Dood & Juanita’ è un western sonoro su amore e vendetta. Perché sì, anche nel country esistono i concept album

Sturgill Simpson

Foto press

Se c’è una cosa va riconosciuta a Sturgill Simpson è questa qui: in un mondo in cui le svolte artistiche non sempre sono ben viste, sono quasi dieci anni che cambia strada di continuo. Si è presentato nel 2013 con il country classico di High Top Mountain. Nessuno all’epoca avrebbe potuto prevedere le successive incursioni nel soul, nel rock, nel bluegrass. Pochi altri artisti – viene in mente Taylor Swift – hanno il coraggio di cambiare direzione ad ogni album.

Che poi questi progetti siano ben riusciti dal punto di vista creativo è un altro paio di maniche. Prendete l’album del 2019 Sound & Fury: forse avventurarsi nel mondo dei riff hard rock non è stata una buona idea. Ora arriva The Ballad of Dood & Juanita ed è il disco più naturale e allo stesso tempo più stupefacente mai fatto da Simpson.

Ispirandosi al suo vero nonno e al capolavoro di Willie Nelson Red Headed Stranger, Simpson che è un’anima antica ha fatto un disco antico: un concept album, anzi un piccolo film sonoro western ambientato 150 anni fa, durante la Guerra Civile. Racconta la storia di Dood, un militare indurito dalla vita che è in grado di “staccare le palle a un pipistrello” con uno sparo, eppure mette da parte il fucile (più o meno) per rifarsi una vita in una fattoria con moglie e figli. Per assicurarci che si capisca bene di quale periodo si parla, il disco inizia con una marcetta in stile Battle Hymn of the Republic.

La vita procede serenamente, per gli standard della frontiera, quando un fuorilegge entra nella proprietà, ferisce Dood lasciandolo morente e ne rapisce la moglie Juanita. Una volta ripresosi dalle ferite, Dood prende mulo e cane e parte alla ricerca della moglie. Sembra andare tutto male, il cane muore e lui è salvato da una tribù di nativi americani (un tocco alla Balla coi lupi). Trovata lì la moglie, Dood parte alla ricerca del cattivo, fino alla resa dei conti. Proprio come nei film, c’è il lieto fine, ma non per tutti.

Se la trama vi sembra bizzarra, sappiate che non c’è nulla di particolarmente leggero o alla buona. Accompagnato da un piccolo ensemble acustico, Simpson usa la cosiddetta mountain music, il country, il bluegrass con violino e banjo. Al centro ci sono le chitarre (con ospite Willie Nelson), per un sound che evoca le vecchie ballate di Marty Robbins. È chiaro che Simpson crede in ogni sfumatura della storia, persino in frasi goffe come: “Era un papà letale con il riflesso di fucile negli occhi finché non ha trovato una brava donna che ne ha placato la rabbia”. Gli arrangiamenti acustici e a tratti amabili tirano fuori il meglio dalla voce di Simpson, che col tempo è diventata più bassa e solida.

Con le sue 10 canzoni, per appena mezz’ora di durata, The Ballad of Dood & Juanita è un altro passo avanti nel viaggio creativo Simpson anche se non ci sono grandi canzoni, forse perché Simpson ha passato più tempo ad affinare la storia che a scrivere melodie. La canzone sul cane morto Sam non è insomma una nuova Bugler, vedi alla voce Byrds.

È un disco strano e ambizioso ed è un merito, eppure non sempre il disco trascende la storia che racconta. Voglio dire che i concept migliori, anche quelli la cui trama non è proprio limpida tipo Quadrophenia o American Idiot, trascendono il contesto in cui sono ambientati. Ascoltare The Ballad of Dood & Juanita equivale a vedere un vecchio film western. È un viaggio in un tempo remoto in cui gli uomini imbracciano fucili (coi quali di solito ammazzano quei cani dei nemici), le donne devono essere salvate e la dannata ricompensa arriva se fai l’impossibile. Dood & Juanita non è solo una celebrazione del concept, ma di un’intera cultura.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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