Shakedown: Hawaii – Recensione | Rolling Stone Italia
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Shakedown: Hawaii – Recensione

La più feroce e divertente satira dell’industria arriva da un indie, realizzato da una sola persona, che si ispira ai GTA in 2D

Il CEO è solo dei tre protagonisti che si alternano durante le missioni. Uhm, questa formula mi ricorda qualcosa.

Invecchiare è uno schifo. Inutile girarci intorno. Cosa ci sarebbe di poetico nei denti e capelli che cadono, nei peli che spuntano a ciuffi dalle orecchie o nelle tette che crollano alle ginocchia? Fino a un paio di generazioni fa era possibile almeno addolcire la pillola con la saggezza. Il mondo avanzava così lentamente che chi riusciva a tornare ad aver bisogno del pannolino ne sapeva più di ogni altro su come vanno le cose. Oggi invece che la storia ha preso a muoversi a velocità supersonica, l’unico vantaggio dei capelli bianchi è poter votare per chi ci condurrà all’estinzione senza preoccuparsi troppo delle conseguenze.

Citando Bassi Maestro, la discografia non è la sola industria in cui “i settantenni decidono anche la grafica”.

In che senso Blockbuster ha chiuso?

Il protagonista di Shakedown: Hawaii rientra perfettamente nella descrizione del paragrafo precedente. Vecchio, potente e scollato dalla realtà. La sola caratteristica da aggiungere per completare il quadro è il suo ruolo di CEO in una grossa azienda dell’entertainment, un colosso del noleggio di VHS. Nessun stupore se le Feeble Industries sono ormai vicine alla bancarotta. La metafora allestita da Brian Provinciano, fondatore, factotum nonché unico membro di Vblank, è abbastanza esplicita. Dopo aver celebrato qualunque prodotto abbia contribuito alla cultura pop oggi imperante, Provinciano è tornato a giocare con la formula dei GTA in 2D alzando però l’asticella della provocazione. L’intera avventura del suo CEO, rifugiatosi alle Hawaii per svernare e costretto a tornare in prima linea per l’azienda, è in realtà una gigantesca parodia del modello di business utilizzato dall’industria dell’intrattenimento nell’ultimo decennio. L’idea di togliere della soda dalla lattine per massimizzare il profitto, brillante intuizione delle nuove Feeble Ind., è da anni un grande classico per chi fa videogiochi. Sotto la cortina della parodia economica, che spesso si espande agli usi e costumi della modernità senza tuttavia mantenere la stessa verve, Vblank ha impacchettato però un open world isometrico da far brillare gli occhi. Il balzo dall’estetica 8bit del gioco d’esordio, Retro City Rampage, allo spettacolo in 16bit allestito alle Hawaii è notevole. Tutto si muove in un tripudio di pixel coloratissimi, tra pedoni che non lasciano mai il cellulare e foglie di palma che ondeggiano al vento. Un paradiso in terra di radere al suolo.

Shakedown: Hawaii porta a considerare che quella storia che i ricchi si annoiano possa in qualche modo essere vera.

Ciò che non puoi distruggere, compralo

Affinché le Feeble Industries possano tornare competitive sono necessarie due mosse: la prima è aggiornare la propria offerta, ferma al noleggio di VHS, la seconda prevede la soppressione delle attività concorrenti. Le prime missioni servono dunque a distruggere i furgoni degli e-commerce o a convincere i negozianti locali che hanno bisogno dei nostri prodotti. La brama di successo del CEO senza nome, tuttavia, non può certo accontentarsi di un piccola fetta di una torta enorme. Ed è a questo punto che entra in gioco la meccanica più interessante, e al contempo più problematica, di Shakedown: Hawaii. La riconquista della posizione dominante non sarà raggiunta solo grazie alla violenza di strada, come da tradizione in GTA ed epigoni, ma anche attraverso l’acquisizione di una serie di attività commerciali capaci di garantire un flusso di cassa costante. A questa fase gestionale però non viene riservata chissà quale profondità. Le attività disponibili sono elencate in un menù e basta premere un tasto per acquisirle o upgradarle. L’entusiasmo iniziale, quando un semplice recupero crediti sembra il deposito di Paperone,  scema purtroppo abbastanza presto. Dopo qualche ora di gioco ci si ritrova così pieni di soldi da accumulare nuove attività con la stessa apatia con cui si cuorano le foto su Instagram in metro. Forse è un problema di bilanciamento o forse è la più efficace metafora del capitalismo mai ideata, vai a saperlo.

Per quanto ammassare compulsivamente attività lecite e illecite impilando verdoni possa essere considerato annoiarsi.

Fuor di metafora

A Brian Provinciano non manca il coraggio. Per uno che campa di videogiochi autoprodotti da dieci anni, prendere apertamente in giro chiunque potrebbe potenzialmente offrirgli un lavoro in futuro potrebbe non essere la migliore delle idee. A Brian Provinciano però non manca nemmeno il talento. Da una decina d’anni è praticamente l’ultimo esponente rimasto di un genere che mantiene in vita con una cura e una dedizione senza pari. Forse Shakedown: Hawaii non sarà il miglior gioco dell’anno, ma ha qualcosa da dire. Merce rara oggigiorno, come un gioco che non prova a spillare soldi con contenuti aggiuntivi.

Produttore: Vblank Entertainment

Distributore: Vblank Entertainment

Lo puoi giocare su: PS4, PC, VITA, Switch