‘Rocketman’, la recensione: date due Oscar all’Elton John di Taron Egerton | Rolling Stone Italia
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‘Rocketman’, la recensione: date due Oscar all’Elton John di Taron Egerton

L’unico modo per raccontare la storia di Reggie è immergersi nella sua fantasia, che al cinema vuol dire una cosa sola: musical. Con un protagonista strepitoso che canta da paura

Bryce Dallas Howard, Gemma Jones, Taron Egerton e Jamie Bell in 'Rocketman'

Rocketman non è solo il film che Elton John ha sempre voluto girare su se stesso, ma è anche il film che abbiamo sempre voluto vedere su Elton John. E naturalmente ha pochissimo a che fare con un biopic classico: l’unico modo per raccontare la storia di Elton è immergersi nella sua fantasia e lasciare che il confine tra realtà e immaginazione diventi sempre più labile. Tradotto in un genere cinematografico, significa una cosa sola: musical. Con contorno di costumi incredibili, coreografie elaborate e momenti di realismo magico. Non vi stupite se vedrete Elton volare sopra al suo pianoforte.

Questo però non toglie nulla al fattore verità del film. Alcuni studios volevano ridurre le scene più esplicite, per evitare il divieto ai minori di 13 anni. “Ma io non ho vissuto una vita adatta ai ragazzini”, ha tuonato Elton. Applausi. E infatti Rocketman, a differenza di Bohemian Rhapsody, non ci pensa nemmeno a edulcorare o smussare: c’è il sesso (con il suo primo manager, interpretato da Richard Madden, in una sequenza degna di Brokeback Mountain) ci sono le pillole e le sniffate di cocaina, anche il tentativo di suicidio. Insomma, Rocketman va drittissimo anche sui tormenti che hanno accompagnato la trasformazione del timido pianista prodigio Reginald Dwight nella super star internazionale, che oggi sta girando il mondo con il suo tour d’addio dopo 50 anni di carriera.

Rocketman | Trailer Ufficiale HD | Paramount Pictures 2019

Ma più della parte pruriginosa del film, vi rimarranno negli occhi (e nelle orecchie) l’assoluta originalità dell’operazione e la STRE-PI-TO-SA performance di Targon Egerton. Mr. Kingsman non è solo nato per impersonare Elton John, ma è venuto al mondo pure per cantare i suoi brani. Se Rami Malek ha vinto l’Oscar come miglior attore per il suo lavoro su Freddie Mercury, Egerton di statuette dovrebbe riceverne almeno un paio perché, oltre a essere attore dotatissimo con un’energia straripante e una sensibilità rara, canta da paura. Academy, facci un pensierino.

Rocketman parte come una confessione in rehab: Egerton/John si presenta alla seduta di gruppo con un costume da diavolo super glamour e, mentre il racconto a flashback va avanti, si spoglia di qualcosa, affrontando i suoi demoni e rimanendo – alla fine – semplicemente se stesso.

Al centro di tutto c’è la ricerca di approvazione, di amore: Elton bambino, che è un fenomeno del pianoforte, ma non riceve affetto né dalla madre (Bryce Dallas Howard) né dal padre. Elton giovanissimo, che cerca il suo posto nel mondo e lo trova accanto a Bernie Taupin (bravo Jamie Bell), il suo paroliere, con cui nascerà un’amicizia fraterna inossidabile. Vi verranno le lacrime agli occhi nella scena in cui Elton musica uno dei testi di Bernie che si chiama Your Song. Il resto è storia della musica.

Prima il debutto live al Troubadour, dove si esibisce in Crocodile Rock levitando in aria insieme al pubblico (fighissimo), poi la scalata alle classifiche, gli alti e i bassi del successo e, di pari passo la vita privata con la scoperta di essere omosessuale e la sensazione di essere solo al mondo, che Elton cura con massicce dosi di lustrini e droghe. Dexter Fletcher (sì, quello di Bohemian) non confina al palco i momenti musicali, ma li cuce nelle pieghe della vita di Elton. Ad esempio quando il cantante allontana momentaneamente Bernie, parte Goodbye Yellow Brick Road. E nel film Egerton si misura con molti dei pezzi iconici di John come Saturday Night’s Alright for Fighting, Pinball Wizard, Rocketman, Tiny Dancer, Bennie and the Jets, Don’t Let the Sun Go Down on Me e Sorry Seems to Be the Hardest Word. Il film finisce dove è iniziato, in rehab, letteralmente “looking like a true survivor, feeling like a little kid”, con un pizzico di moralismo e lo spottone su quant’è bravo, quant’è buono, quant’è bello Elton. È evidente che John e il marito (nonché attuale manager) David Furnish hanno avuto una grossa parte nel film, ma va bene così. Perché quando parte I’m Still Standing è un’esplosione di gioia pura.

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