'Robin Hood', la recensione | Rolling Stone Italia
Recensioni

Robin Hood ha rubato due ore del mio tempo


L’ultima versione della leggenda del principe dei ladri non merita il nostro perdono



Jamie Dornan in Robin Hood

Uscito appena in tempo per vincere il premio di peggior film dell’anno, Robin Hood – una pellicola che brilla della sua coolness inesistente – crolla sulla sua piattezza. È la versione teen della storia dell’eroe fuorilegge, il capo dei Merry Men che Kevin Costner interpretò come un surfer in Robin Hood – Il Principe dei Ladri (1991) e da cui Russell Crowe succhiò via ogni energia vitale nella sua delusione del 2010. Comunque, questo nuovo Robin, interpretato da Taron Egerton, è così terribile da far venire nostalgia della versione del 1938 di Errol Flynn. E di Sinatra in Robin and the 7 Hoods. Persino della parodia di Mel Brooks. Tutto tranne che questo.

La versione del 2018 è un’origin story pensata per i millennial e memorabile solo per i momenti terribili che riesce a collezionare; seriamente, quanto duramente bisogna lavorare per confezionare un film senza nemmeno una scena salvabile? Egerton, fantastico nei film di Kingsman, si è ritrovato sommerso da una sceneggiatura pesante quanto un macigno, una storia che distrugge le performance di tutti gli attori, incluso lo Sceriffo di Nottingham del grande Ben Mendelsohn. Per fortuna c’è Jamie Foxx nei panni di Yahya, un guerriero islamico che aiuterà Robin all’occorrenza. Per fortuna di Robin, non Jamie Foxx.

Esatto: questo è Robin d’Arabia. Il regista Otto Bathurst, impegnato a imitare lo stile di Guy Ritchie, si assicura che ogni freccia colpisca un’arteria e che ogni esplosione sia come quella di una bomba, una specie di Hurt Locker medievale. Il parallelo con la guerra in Iraq serve solo a farci pensare: “Oh! Quant’è moderno!”. È triste, triste, triste vedere un regista come Bathurst, un autore che ha dimostrato il suo talento nello splendido pilot di Black Mirror e nella prima stagione di Peaky Blinders, soffrire invano per portare a conclusione questo film.

La trama, se vogliamo chiamarla così, si sviluppa quando “The Hood” (non è un soprannome meraviglioso?) torna a Nottingham dopo quattro anni d’assenza, e ritrova la sua casa saccheggiata, il popolo vessato dallo sceriffo e Marian nel letto di Will Scarlet, un truffatore interpretato da Jamie Cinquanta Sfumature Dornan. (Che in questo film non frusta nessuno, a parte il pubblico). La chimica tra i due è pari a zero, ed è difficile capire perché Robin – scusate, The Hood – sia così impegnato a far restare i due insieme. Il nostro eroe non vede sesso nel suo futuro, e si getta nel mezzo dell’azione con il suo nuovo famiglio Yahya, che ora si fa chiamare Little John. Non aspettatevi nessuna foresta di Sherwood, Merry men o colori sgargianti. Nottingham è una città mineraria dove la fuliggine è un fashion statement.

Bathurst ha riempito il film di azione incoerente e trame secondarie senza senso. Nel frattempo, il premio oscar Murray Abraham entra in scena nei panni del Cardinale, così da sottolineare l’avarizia della Chiesa Cattolica. E lo sapevate che lo sceriffo, da ragazzo, era stato vittima di abusi dei preti? Più Robin Hood cerca di essere attuale e rilevante, più sembra una vecchia ciabatta senza speranza. Il film inizia con un monologo di Fra Tuck: “Dimenticate la storia, dimenticate quello che pensate di sapere, dimenticate quello che avete sentito finora”. Ma ricordate di non buttare i vostri soldi per questo blockbuster tossico.