Kim Gordon, la recensione del nuovo album ‘No Home Record’ | Rolling Stone Italia
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‘No Home Record’, la paranoia sensuale di Kim Gordon

Al primo vero lavoro solista, l'ex Sonic Youth sorprende con un'opera complessa, specchio dei tempi in cui viviamo

Kim Gordon

Foto di Natalia Lamantini

Kim Gordon è uno dei rari casi in cui l’abusatissimo aggettivo “poliedrico” viene speso bene. 
Tanto per cominciare, ha inaugurato la mostra She Bites Her Tender Mind all’Irish Museum of Modern Art di Dublino che segue Lo-Fi Glamour al Warhol Museum di Pittsburgh. Sono quasi dettagli di fronte a una lunga carriera durante la quale – oltre alla principale occupazione da musicista – Gordon ha collezionato esperienze come produttrice, attrice, performer, stilista, designer. Niente male per una che per qualche decennio è stata la colonna portante di una delle band più importanti della scena alternative e noise rock, tanto per usare un eufemismo, visto il legame indissolubile tra i Sonic Youth e il concetto stesso di alternative e noise rock.

Nel frattempo i Sonic Youth si sono sciolti ormai quasi da un decennio e il matrimonio con Thurston Moore è andato in malora – con tanto di polemiche e frecciatine come si legge nella autobiografia del 2015 Girl in a Band – e poi ecco che all’improvviso pubblica un singolo, il primo da solista, intitolato Murdered Out. Acclamato e apprezzato da pubblico e critica (è un’espressione odiosa, ma è la verità), è una bordata di suono mastodontico, compatto e travolgente. Poi niente più a suo nome per qualche anno – ha fatto parte dei progetti Body/Head e Glitterbust  –, il che ci fa arrivare ai giorni nostri, con l’annuncio dell’album No Home Record – naturalmente anche questo il primo da solista – e del video del singolo Sketch Artist diretto da Loretta Fahrenholz, nel quale Kim è al volante di un’automobile guidata dalla misteriosa applicazione Unter e manda in crisi epilettica i passanti con il suo sguardo glitterato, un immaginario che ricorda il capolavoro di Leos Carax Holy Motors che, per inciso, non compare in nessuna classifica dei film del decennio ed è assolutamente inaccettabile, ma questa è un’altra storia.

Kim Gordon - "Sketch Artist" (Official Music Video)

Insomma, con queste premesse, era difficile farsi un’idea di come sarebbe stato un album di Kim Gordon nel 2019. Quale strada avrebbe percorso? Imbracciare il basso e cavalcare l’ondata di revival anni ’90 in corso, sfornando un po’ di pezzi in salsa Goo? Scegliere l’introspezione e optare per un disco acustico, da occhio di bue, sigaretta fumante e sgabello dall’alto dei suoi 66 anni? Oppure proseguire sul delirante cammino del rumorismo d’avanguardia, come fatto in The Switch, l’ultimo album dei Body/Head messi su insieme a Bill Nace?

Ovviamente niente di tutto questo, ma qualcosa di meglio, visto che le nove tracce di No Home Record sono il meglio che si possa chiedere a un’artista indecifrabile e complessa come Kim Gordon, che potrebbe permettersi di fare qualsiasi cosa, ma, come dire, a volte il rischio è che si faccia troppo qualsiasi cosa. Superata la già citata Sketch Artist che apre il disco, veniamo catapultati e strattonati nel caos di Los Angeles, che più di ogni altra città contemporanea forse rappresenta il delirio del nostro tempo, l’alienazione e la follia. Air BnB ce li getta in faccia a ogni nota distorta e richiama il concetto evocato dal titolo del disco, una città inospitale, al punto che la stessa Kim Gordon si sente estranea pur abitandoci. Poi – quasi ad illuderci – arriva Paprika Pony, il pezzo più sensuale di un disco dall’elevatissimo tasso di sensualità, un avvolgente turbinio dalle vaghe sembianze trip-hop e trance.

L’ipnosi però finisce subito, perché ritornano più forti di prima le tematiche menzionate: caos, disordine, paranoia, di cui un buon manuale illustrativo è la parlata Cookie Butter, una specie di disco rotto disturbante che elenca una serie di azioni quotidiane che improvvisamente diventano stupide e insignificanti e svuotano di senso la nostra stessa esistenza. Abbiamo già detto “caos”? Bene, perché è esattamente quello che accade in Hungry Baby, brano punk alla Lydia Lunch seguito dai due pezzi di chiusura, una coda viscida e villosa che accarezza il corpo: Earthquake e Get Yr Life Back, due brani sperimentali, iper-contemporanei, cacofonici, che ricordano Carla Bozulich, ma anche i dischi e i film di David Lynch e il suo modo di tirare fuori il conturbante e il profano dalle cose.

No Home Record è un’opera sorprendente, per certi versi persino sprecata per i tempi in cui viviamo, un’opera difficile da digerire e avulsa al formato canzone. Proprio per questo preziosa e da salvaguardare, perché non piacerà a tutti. D’altra parte è questo il destino di ogni grande artista.

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