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Nick Cave è bello anche su uno schermo

Solo per oggi nei cinema verrà proiettato "Distant Sky", il live di Cave e i Black Seeds registrato a Copenhagen per l'ultimo tour. E come prevedibile, sono grossi brividi.
4 / 5

L’unica domanda a cui vuole rispondere questa recensioncina è: vale la pena andare al cinema per vedere un live di Nick Cave registrato a Copenhagen? Perché è proprio ciò che succede oggi, 12 aprile, in molti cinema della penisola. Oggi e oggi soltanto.

Non cerchiamo quindi di stabilire se il lavoro fatto sul palco da Cave e i suoi Bad Seeds sia valido. L’aveva già detto il nostro Emiliano Colasanti appena dopo l’ultimo concerto in Italia: Cave dal vivo è molto più di un Leonard Cohen, è praticamente un Elvis. Mentre i suoi Bad Seeds, impeccabili, chirurgici senza essere menosamente virtuosi, sono la migliore blues band degli ulimi quarant’anni.

Una bella festa, come è già stato detto. Resta solo da capire se la pellicola sia riuscita a rendere un minimo di giustizia al tour dell’ultimo, travagliato (soprattutto a livello emozionale per la perdita del figlio), Skeleton Tree. La risposta è sì. Il film è un portento. Merito non soltanto di chi su quel palco ci stava, ma soprattutto di chi, e parlo proprio di David Barnard alla regia e la sua squadra di operatori, è uscito sorprendentemente dagli schemi del film-concerto.

Distant Sky: Live in Copenhagen non è due ore di inquadrature distratte e ripetute un po’ randomicamente tanto per tenere alta un minimo la soglia di attenzione di chi guarda. È un fine gioco di inquadrature ampie e close up incredibilmente ravvicinati, immagini fisse e sequenze serrate. In questo senso, Barnard riesce a cogliere i dettagli più impercettibili e valorizzarli. Come quando al momento di Tupelo viene inquadrata la mano di Nick che sfiora quella dei fan mentre, con la voce rotta di chi ne ha tragicamente perso uno, sussurra “My lil’ children”.

Piccola menzione anche per il pubblico di Copenhagen, che sembrerà scontato ma ha inondato di calore il palco senza chiedere in cambio fastidiose foto coi telefonini alzati.

Due lunghe ore che, se siete fan e non siete stati al concerto (o anche sì), voleranno come quando siete in compagnia di qualcuno che sa come far ridere, piangere, far venire i brividi. Non necessariamente nell’ordine.

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