Neil Young - Peace Trail | Rolling Stone Italia
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Neil Young – Peace Trail

Leggi la recensione del trentottesimo album di Neil Young su RollingStone.it

È bello immaginare Neil Young come un gigante che attraversa a larghi passi il continente nordamericano seguendo un immaginario sentiero, si ferma e posa il suo sguardo torvo ovunque ci sia una giusta causa, testimoniando con la sua presenza la coscienza di un’epoca in cui la musica popolare era portatrice di un messaggio e chiamando all’azione (e non solo alla riflessione, il che fa differenza) con quella chitarra lancinante che ha sferzato le menti di diverse generazioni. È proprio questo il senso di Peace Trail, ennesimo disco (è il numero 38) di Neil Young che, dopo l’impegno ambientalista di Earth, non sta troppo tempo in silenzio e torna per strada con 10 tracce in cui racconta se stesso, il mondo e le contraddizioni dell’ingombrante colosso americano. Un disco scarno, splendidamente lo-fi, totalmente privo di considerazione per cose come la pulizia del suono, per non parlare ovviamente delle regole commerciali.Il Gigante Neil entra sporco con l’attacco di feedback mozzato e le maracas quasi fuori tempo della title track e non si ferma più, non chiede mai permesso e investe tutto quello che si trova davanti senza risparmiare assoli elettrici, giri di armonica e arpeggi acustici e parlando sempre molto chiaro: Peace Trail è l’urgenza della testimonianza (“Il mondo è pieno di cambiamenti / A volte questi cambiamenti mi fanno suonare”), Indian Givers, già lanciato da un videoclip minimale e sublime che unisce riprese televisive e immagini girate con il telefonino da un Neil in versione YouTuber, è la protesta contro un oleodotto costruito sulle terre dei Nativi, My New Robot è una surreale favola sulla follia della modernità in cui Neil racconta: “È arrivato il mio nuovo robot comprato su Amazon.com” e poi ci fa sentire come sia impossibile farlo funzionare. A volte Neil sembra cantare da solo, come se non si accorgesse della nostra presenza. O forse non gliene frega niente. Perché comunque vada, che lo seguiamo o no, il Gigante Neil continuerà a camminare sul suo sentiero.

La recensione è stata pubblicata su Rolling Stone di dicembre. Potete leggere l'edizione digitale della rivista, basta cliccare sulle icone che trovi qui sotto.
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È bello immaginare Neil Young come un gigante che attraversa a larghi passi il continente nordamericano seguendo un immaginario sentiero, si ferma e posa il suo sguardo torvo ovunque ci sia una giusta causa, testimoniando con la sua presenza la coscienza di un’epoca in cui la musica popolare era portatrice di un messaggio e chiamando all’azione (e non solo alla riflessione, il che fa differenza) con quella chitarra lancinante che ha sferzato le menti di diverse generazioni. È proprio questo il senso di Peace Trail, ennesimo disco (è il numero 38) di Neil Young che, dopo l’impegno ambientalista di Earth, non sta troppo tempo in silenzio e torna per strada con 10 tracce in cui racconta se stesso, il mondo e le contraddizioni dell’ingombrante colosso americano. Un disco scarno, splendidamente lo-fi, totalmente privo di considerazione per cose come la pulizia del suono, per non parlare ovviamente delle regole commerciali.

Il Gigante Neil entra sporco con l’attacco di feedback mozzato e le maracas quasi fuori tempo della title track e non si ferma più, non chiede mai permesso e investe tutto quello che si trova davanti senza risparmiare assoli elettrici, giri di armonica e arpeggi acustici e parlando sempre molto chiaro: Peace Trail è l’urgenza della testimonianza (“Il mondo è pieno di cambiamenti / A volte questi cambiamenti mi fanno suonare”), Indian Givers, già lanciato da un videoclip minimale e sublime che unisce riprese televisive e immagini girate con il telefonino da un Neil in versione YouTuber, è la protesta contro un oleodotto costruito sulle terre dei Nativi, My New Robot è una surreale favola sulla follia della modernità in cui Neil racconta: “È arrivato il mio nuovo robot comprato su Amazon.com” e poi ci fa sentire come sia impossibile farlo funzionare. A volte Neil sembra cantare da solo, come se non si accorgesse della nostra presenza. O forse non gliene frega niente. Perché comunque vada, che lo seguiamo o no, il Gigante Neil continuerà a camminare sul suo sentiero.

La recensione è stata pubblicata su Rolling Stone di dicembre.
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