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Mavis Staples – Livin’ On A High Note

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4 / 5

Non è sicuramente un azzardo da poco mettere assieme una veterana di un certo peso e del materiale che sembra scritto per le generazioni future. Eppure, dopo due LP prodotti da Jeff Tweedy, Mavis Staples torna a calcare prepotentemente le scene con un progetto ancora più ambizioso e altisonante; e lo fa insieme a una lista di musicisti fuori-classe, tutti – in un certo senso – sedotti e invischiati nella tradizione americana, nella roots music, ma non confinati soltanto a quella.

Valerie June, Ben Harper, Justin Vernon e Nick Cave si sono esaltati tantissimo per l’occasione. Tutto il merito va alla sfida più unica che rara: poter scrivere per una donna che è considerata un’icona, una donna capace di affrontare temi spirituali e politici senza inutili astrazioni, giri di parole o sottigliezze. Una donna la cui filosofia potrebbe essere sintetizzata più o meno in questo modo: “o stai dentro, o stai fuori”. Take Us Back di Benjamin Booker celebra la realizzazione individuale che passa attraverso la comunità, e qui Mavis Staples si lascia andare a un flusso e un’energia strabilianti, a metà strada tra Millie Jackson e Kanye. I pezzi dialogano potentemente con #BlackLivesMatter, grazie a un tipo di linguaggio in grado di riecheggiare gli inni di un’altra epoca, quella storica delle battaglie per i diritti civili; History, Now di Neko Case si domanda apertamente: “Ci vogliamo presentare come un chirurgo o come una bomba?”. Il producer M. Ward si concentra sulla voce ruvida e ancora agile di Mavis Staples e compone due pezzi d’eccezione: il gospel sognante e rockettaro Don’t Cry e MLK Song. L’ultimo è un’efficace ballata country blues che va a recuperare le parole da un sermone del 1968 di Martin Luther King, un personaggio che Staples può giustamente permettersi di considerare uno di famiglia. «Nella marcia per la pace», dichiara lei, «potete dire che suonavo la batteria». E lo fa ancora, ci potete scommettere.

Questo articolo è pubblicato su Rolling Stone di marzo.
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