Rolling Stone Italia

‘Master of None 3’: le scene da un matrimonio di una serie che cambia tutto, perché nulla cambi

Lo show di Aziz Ansari fa tabula rasa delle storie precedenti, lascia lo spotlight a Lena Waithe (e al suo tormentato ménage con la moglie Naomi Ackie) e trasforma anche il suo stile. Restando però fedele a se stesso
3.5 / 5

Le prime due stagioni di Master of None erano nel segno dell’imprevedibilità. Se l’arco narrativo principale era focalizzato sulla vita sentimentale di Dev, un attore di scarso successo interpretato da Aziz Ansari – che ha creato la serie insieme all’Alan Yang di Parks and Recreation – i singoli episodi potevano portarci ovunque ed essere dedicati a chiunque. C’era la puntata in bianco e nero che omaggiava il neorealismo italiano in cui Dev imparava a fare la pasta a mano; e quella sull’amica di Dev, Denise (Lena Waithe), che faceva coming out in famiglia. In alcune potevano addirittura non esserci i personaggi personaggi principali della serie: vedi l’episodio che raccoglieva le storie degli immigrati e di altri newyorkesi che raramente vediamo sullo schermo. Inframmezzata dai capitoli sulla vita amorosa di Dev, la serie è sempre riuscita a tenere insieme gli elementi migliori della tv moderna con l’approccio antologico tipico della prima età dell’oro della serialità, quella tra gli anni ’60 e ’70.

Con questa terza stagione, Master of None cambia pelle ancora una volta. L’approccio stavolta è meno Ai confini della realtà e più American Horror Story. La terza stagione è costituita da cinque episodi riuniti sotto il titolo Istanti d’amore e costruiti attorno a Denise (Dev appare solo qualche volta, e molto brevemente), cosa che la serie non aveva mai fatto prima. È da quattro anni che non vediamo questi personaggi, e tutti hanno subìto dei cambiamenti notevoli. Denise è ora una scrittrice di successo che vive in una bellissima casa di campagna insieme alla moglie Alicia (Naomi Ackie). Quando Dev va a trovarla, è chiaro che lui è rimasto quello di prima, mentre lei ora frequenta giri socio-economici ben diversi (*). Ma per quanto da fuori il matrimonio di Denise e Alicia possa sembrare tranquillo e felice, ci vengono presto mostrati i momenti più difficili. I problemi di Denise nella stesura del suo secondo libro si scontrano con il desiderio di Alicia di avere un figlio, in un processo che rivela quanto la loro relazione non sia perfetta come la casa che Denise ha comprato e Alicia ha arredato.

(*) La ridottissima presenza di Ansari davanti alla macchina da presa gli permette di concentrarsi ancora di più sui temi messi in scena, considerato anche il fatto che dirige e scrive (insieme a Waithe) tutti gli episodi. E, alla luce dei dettagli sulla sua vita privata resi pubblici dopo le prime due stagioni della serie (nel 2018 è stato accusato da una donna di molestie, ndt), questa terza stagione vale come riavvicinamento cauto e graduale alla sua carriera d’attore.

Da un punto di vista creativo, Master of None 3 è la versione di Scene da un matrimonio di Waithe e Ansari. Ansari ha girato gli episodi in formato 4:3 (l’originale Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman era nato come miniserie per la televisione svedese) su quella che ha l’aria della vecchia e granulosa pellicola. Se non ci fossero il computer e lo smartphone di Denise – e se questa non fosse la storia di una coppia lesbica e nera per la quale l’omofobia non è più un tema – potremmo essere davanti a un prodotto degli anni ’70.

Il ritmo prende la parola Istanti del sottotitolo alla lettera, lasciando che Denise e Alicia semplicemente si muovano nella loro grande casa, che lavino i piatti, carichino la lavatrice, godano dei suoni e delle vedute della campagna. È una tecnica, per così dire, immersiva – fare in modo che il pubblico arrivi a vivere quella relazione, fino al punto in cui tutto entra in crisi – che richiede molta pazienza da parte dello spettatore. Il primo episodio, lungo 55 minuti, in effetti setta il mood e lo stato di questo matrimonio, ma pare un po’ troppo autocompiaciuto rispetto al secondo e al terzo, che durano meno di mezz’ora (anche se sembrano molto più lunghi).

Ma la pazienza degli spettatori sarà ripagata dal penultimo episodio, quello in cui Naomi Ackie fa vivere alla sua Alice gli alti e bassi emotivi provocati dai trattamenti per la fecondazione assistita. È un altro episodio molto lungo, ma tutto quello che vediamo e sentiamo è palpabile, a volte struggente, fino a diventare il cuore dell’intero racconto. Quell’episodio non fa retroattivamente sembrare più spediti i precedenti, ma giustifica tutto quello che abbiamo visto fino a quel momento.

Il quarto episodio è una bellissima ora di televisione, ed è una delle cose migliori che Master of None abbia prodotto. Non funzionerebbe allo stesso modo senza le puntate che sono venute prime, e senza le rivelazioni su entrambi i personaggi nell’epilogo che arriva subito dopo. Ma mi chiedo cosa sarebbe successo se Waithe, Ansari, Yang e compagnia scrivente avessero usato la storia di Denise e Alicia come spina dorsale di una stagione strutturata come le due precedenti, capace cioè di accogliere anche personaggi diversi da quelli del racconto principale (come, ad esempio, l’Arnold di Eric Wareheim, stavolta del tutto assente) o di mettere in scena storie come quelle dei tassisti immigrati della seconda stagione (nell’episodio New York, ti amo, ormai diventato un piccolo classico).

Ma questo non era chiaramente il modo in cui tutti gli autori coinvolti volevano raccontare la storia, e ciò è comunque un dato interessante anche prima della magnifica ora dedicata ad Alicia. Istanti d’amore è un azzardo che non sempre va a buon fine, ma dimostra che, dopo tanti anni, Ansari e Waithe vogliono ancora fare qualcosa di profondamente diverso e, al contempo, nello spirito di tutto quello che hanno fatto prima.

Da Rolling Stone USA

Iscriviti