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‘Love, Death & Robots’, troppe storie bizzarre per post-millennials

Si potrebbe fare di meglio, magari preferendo la qualità alla quantità: la recensione della serie animata di David Fincher e Tim Miller
3 / 5

Ricordate Heavy Metal, il film d’animazione del 1981 tratto dalla rivista francese Métal Hurlant? Quel guazzabuglio di storie su alieni sballati, androidi voluttuosi, viaggiatori spaziali corazzati, eroine dei draghi in tenuta da dominatrix e altri tocchi di pulp interstellare? “A step beyond science fiction” era lo slogan. Pensate a un 13enne che scrutava intricati disegni di pistole laser e tette con una torcia sotto le lenzuola. Per una generazione di geek, era oro puro. Avanti veloce fino a questo momento – passati gli anni di Spike and Mike’s Festival of Animation e di Liquid Television su MTV, le infinite rivisitazioni di Akira e l’esplosione di Adult Swim – dove potete trovare tutta la stravaganza che volete con pochi clic. Ma forse avete un certo prurito per quanto riguarda l’animazione che solo un cyborg in topless che si trasforma in una volpe robot con sete di vendetta può soddisfare. Forse Netflix lo sa. Forse sa anche cosa serve per soddisfare il vostro prurito.

Prodotto da David Fincher e dal regista di Deadpool Tim Miller, Love, Death & Robots è il tentativo del servizio di streaming di colonizzare una nicchia di animazione hard-fi/NSFW che è rimasta inattiva. Ad essere sicneri, avrebbero potuto chiamarlo Sex, Violence & Future-Shocked Irony e l’effetto sarebbe stato lo stesso. Oltre 18 episodi, alcuni di 17 minuti e altri di sei, alcuni tratti da racconti e altri otiginali, questa antologia mostra la gamma completa di stili, modalità di narrazione e temi di fantascienza. Ma l’obiettivo generale sembra essere quello di dare alla generazione post-millennial un Heavy Metal tutto per loro. In questo senso, si può dire che la serie fa centro. Per tutti gli altri indicatori di successo, chi può dirlo? Come ogni pesca a sorpresa, quello che ottieni varia da capitolo a capitolo, da nanosecondo a nanosecondo.

In effetti, nelle peggiori puntate sembra che lo show stia semplicemente puntando su ogni minimo comune denominatore per il pubblico Comic-Con con la massima energia. Sia Il vantaggio di Sonnie, che parla di sensitivi che praticano combattimenti tra mostri, e La testimone, su una belle du jour che scappa da un pervertito omicida, con scene che sembrano prese dai vecchi giochi per PlayStation. Alcuni, come “La discarica”, partono da una battuta, la portano all’esasperazione e continuano a insistere per altri 10 minuti sul tema. Altri si accontentano di eliminare qualsiasi tipo di contesto e si limitano a mettere in scena un inseguimento, letteralmente nel caso di Punto cieco. Idem anche Il succhia-anime, che ingiustamente pensa che un cartone simile a Johnny Quest che coinvolga budella, sangue, vampiri e parolacce sia sufficiente a sostenere l’interesse di chiunque abbia finito le scuole media. Questi sono i momenti in cui ti senti come se stessi guardando la clip degli highlight di qualche film, invece del film stesso. Per fortuna non sono così lunghi, anche se lo potrebbero sembrare.

Questi sono i punti più bassi. E mentre molte delle puntate cadono in un’inter-zona di mediocrità, ci sono anche una manciata di puntate notevoli. La notte dei pesci, basato su un racconto del grande romanziere del crimine del Texas Joe R. Lansdale, inizia con due uomini d’affari bloccati in mezzo al nulla e diventa meravigliosamente allucinogeno quando tutto si trasforma in una città fantasma acquamarina (come in ogni oceano che si rispetti, naturalmente, ci sono predatori e ci sono prede). Potete saltare il primo contributo dello scrittore inglese di fantascienza Alastair Reynolds, Oltre Aquila, a meno che non abbiate davvero voglia di un po’ di porno softcore animato, ma non il suo secondo corto: Zima Blue, un viaggio bizzarro su un artista solitario, che sembra una copertina di un album di Roger Dean che prende vita. Tute meccanizzate è una versione personale di Starship Troopers – gli agricoltori corazzati contro i cari vecchi alieni – che in qualche modo riesce a evocare un blockbuster estivo in miniatura, ma riesce a non puzzare.

E infine c’è l’uno due definitivo, Il dominio dello yogurt e Alternative storiche. Il primo trasforma una storia dell’autore, vincitore del premio Hugo, John Scalzi, su dei prodotti lattiero caseari senzienti che ci superano per quanto riguarda le capacità intellettuali – sono disposti a risolvere tutti i nostri problemi economici in sei mesi, in cambio del solo stato dell’Ohio – in una metafora spudorata cruda sullo sgretolamento della condizione sociopolitica contemporanea. Il secondo è l’ MVP della prima stagione, che racconta scenari di alt-universo: sei diverse linee temporali che coinvolgono anche la morte di Hitler. Non importa quale sia lo scenario, comunque, la prima guerra mondiale accade, l’Europa e l’America sono sempre nel caos e qualcuno – Neil Armstrong, Vladimir Putin, una prostituta viennese, un calamaro – atterra sulla luna. Entrambi durano meno di otto minuti. Entrambi sono magnifici.

Non stiamo suggerendo che le puntate più brevi e più sciocche siano più forti di quelle più lunghe e serie. Ma c’è un taglio forte, molto preciso su questi due episodi in particolare che suggerisce come, con un po’ più di spuntatine e sistemazioni, Love, Death & Robots potrebbe ribaltare la situazione a proprio favore. La coerenza non è una priorità rispetto alla varietà, chiaramente. Tuttavia, se Netflix vuole puntare più in alto rispetto a Heavy Metal: The Next Generation e fare qualcosa di un po’ più vicino alle serie antologie britanniche che stanno mandando in onda – come quella che ha una sequenza di titoli di apertura molto simile a LD & R – avranno bisogno di sacrificare la quantità a favore della qualità. Invece di 18 episodi che coprono tutto il tragitto demenziale-distopico di questa stagione, sarebbe meglio realizzare una Top 10. Fino ad allora, lo spettacolo non entrerà nel cuore dei fan di Black Mirror.

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