Rolling Stone Italia

L’eterno ritorno di Morrissey

L'ex frontman degli Smiths si trasforma in una vecchia zia che si rifiuta di vedere un mondo diverso dai suoi ricordi per diventare, finalmente, una popstar qualunque
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Sono stato un fan degli Smiths abbastanza devoto da aver paura a frugare ancora nella tragica somma di paranoie che si agita nella testa di Morrissey. Mica da ieri. Neppure da ieri l’altro. No, la biografia di Johnny Marr non l’ho letta, mi fa tristezza al solo pensiero. Ho saputo invece dalla cronaca spicciola de Il Messaggero di come Morrissey abbia affrontato un poliziotto in contromano a via del Corso, Roma, con il miglior “lei non sa chi sono io?”, mai più sentito dai tempi di Tangentopoli. Adesso scrive Who Will Protect Us From the Police?. All’inizio della canzone suona un antifurto, il più tipico dei rumori di una notte romana. Il disco è registrato in parte nella città dove Morrissey aveva abitato dieci anni fa. La risposta, nello stile delle sue vecchie filastrocche tipo Margaret on the Guillottine (chi la ricorda?) è: “Forse Dio lo farà”.

Bravissimo a fare interviste, il migliore della sua generazione in quest’arte difficile fin da quando aveva vent’anni, adesso Morrissey ce l’ha con il “controllo” esercitato dall’industria discografica sugli “artisti che hanno un messaggio politico”. Cioè sempre lui, immagino. “Ho mangiato e bevuto vino con ogni capoccia bugiardo del mondo della musica/Nessun segno di te/Ecco perché casa è un punto interrogativo” (Home Is a Question Mark). Casa. O non, invece, Patria? A quel che ho capito dalle ultime giravolte islamofobe a ’sto punto Morrissey non sfigurerebbe in una puntata di Quinta colonna su Rete4, tra il white trash razzista degli hinterland di ogni dove. A flirtare con gli hooligan, la Union Jack, la perduta insularità britannica (per nobili motivi, comunque, pasoliniani, antiborghesi e antimonarchici) si rischia di perdere il senso delle proporzioni.

A Morrissey il settimanale New Musical Express sono trent’anni che dà del fascista e razzista. Vecchia polemica, per motivi adesso difficili da ricostruire per intero. Con fondamenti che allora ci sembravano francamente esagerati, come per esempio quel vecchio verso di Panic che diceva: “Impicca il dj/perché la musica che costantemente suona/non ha niente a che vedere con la mia vita”. E quell’altro verso da Viva Hate: “Bangla Bangla, accantona i tuoi piani di occidentalizzarti/perché la vita è dura anche se sei nato qui”. Adesso che il mondo è così cambiato, Morrissey non è cambiato neppure troppo: “Jacky è felice soltanto quando va in scena/Scena 6: questo Paese mi fa vomitare” (Jacky’s Only Happy When She’s Up On the Stage). Una vecchia zia libera di fare capricci, che si ricopia da trent’anni le canzoni del disco precedente sul disco nuovo. Penso anche che Morrissey abbia raggiunto così il suo scopo nella vita. Essere una popstar qualsiasi. Di secondo piano magari.

Ma invecchiare in un mondo di cipria, camerini sbrecciati, tavole di palcoscenici, televisione pubblica. Tornare all’infanzia a Manchester, coi film in bianco e nero, gli autobus rossi e le cabine del telefono. Nomi buoni per riempire le pagine di un diario scolastico: Anthony Newley, Sandie Shaw, Dusty Springfield, John Barry, Marc Bolan, David Bowie, i New York Dolls (nei sottotitoli italiani per i nostri lettori meno giovani: Massimo Ranieri, Marcella Bella, i Cugini di Campagna, Ennio Morricone – il disco è stato curiosamente in parte inciso ai Forum Studios di Roma, di cui il maestro è coproprietario). “Quando l’industria musicale serviva gli artisti” (parole sue, durante il lancio di questo disco) e “le classifiche riflettevano emozioni e bisogni dei devoti amanti della musica”.

Una popstar qualsiasi. Annidato nel senso comune, sedotto dalla morbidezza della vita raccontata dai tabloid, dai pettegolezzi della tv del pomeriggio, ipnotizzato dalla mistica di ciò che è finalmente popolare, contro l’élite, tanto da poter cantare finalmente così: “Passo il mio tempo a letto/(…) Smetti di guardare il tg/perché le notizie ti fanno sentire piccolo e solo” (Spend the Day in Bed). Oppure, ancora: “I presidenti vanno e vengono/guarda i danni che fanno/Ma i ragazzi si devono innamorare” (All the Young People Must Fall in Love).

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