Sting & Shaggy, la recensione di 44/876 | Rolling Stone Italia
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L’eleganza swag di Sting e Shaggy

Per l'album 44/876 due visioni opposte del reggae si incontrano per uno dei dischi più sorprendenti dell'anno, tra echi dei Police e il tocco magico dell'hitmaker giamaicano.

Foto Salvador Ochoa

È la collaborazione più sorprendente del 2018: l’eleganza di Sting e lo swagger del guascone Shaggy in un album di “gioia musicale in puro stile giamaicano” (come lo hanno definito i media americani). Sting l’ha descritto con un’ironia che lo rende inattaccabile: «Per me la cosa più importante nella musica è la sorpresa, e tutti sono stati sorpresi da questo disco».

Non si può dire che Sting non abbia una credibilità nel reggae dopo averlo usato in modo rispettoso come rampa per lanciare i Police al successo planetario, e che Shaggy non sia un comunicatore eccezionale avendo firmato alcuni dei crossover più riusciti di sempre. La fusione tra due tonalità così riconoscibili e contrastanti, il flusso morbido di Sting che scivola sui ritornelli e le sferzate dancehall di Shaggy che tengono in piedi il ritmo, è un esperimento che funziona.

Più difficile diventa inserire nei canoni del reggae inteso come racconto del reale questo incontro tra due superstar di due emisferi diversi, basato sul divertimento e nato per caso con un ritornello regalato da Sting a un singolo di Shaggy. L’operazione sulla carta sembra una furbata fatta per riempire le playlist dei locali, con una hit impeccabile (Don’t Make Me Wait), tutti i pezzi da spiaggia (Morning is Coming e Gotta Get Back My Baby) piazzati all’inizio dell’album e una grande presentazione di Shaggy: «Questo è il disco di cui il mondo ha bisogno ora». In fondo non c’è niente di male a far divertire il pubblico con il dialogo tra due voci iconiche, la drum-machine anni ’90 e un’atmosfera pop-reggae da cocktail illimitati in un resort caraibico.

E superato il blocco di facili hit, 44/876 si rivela un’immersione sincera e raffinata di Sting nella musica dell’isola di Shaggy (soprattutto in 22nd Street e nelle due ultime tracce Sad Trombone e Night Shift) e in quella magia di suono e melodie che nessuno sa spiegare. Ma che piace a tutti.

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