Come succede con ogni film sull’Olocausto, Il Figlio di Saul verrà criticato per il fatto che il cinema è un media troppo leggero per raccontare un male così profondo. Ma non c’è niente di legger in questo capolavoro ungherese del regista esordiente László Nemes. Non solo è una testimonianza degli orrori, te li fa sentire nelle ossa.
Nemes tiene la sua camera fissa su Saul Auslander (Géza Röhrig), un prigioniero ebreo ad Auschwitz. Saul riesce a scampare temporaneamente ai forni lavorando per la Sonderkommando, una sezione di ebrei obbligati ad aiutare a uccidere altri ebrei e dell’eliminazione dei corpi. Vediamo solo quello che vede Saul, gli atti più atroci sono sfocati in secondo piano, ma è tutto ancora più terrificante per questo.
La tensione cresce quando Saul trova il corpo di un ragazzo che è sopravvissuto ai gas. Quando il ragazzo muore, Saul prova a fare l’impossibile per dargli una sepoltura ebraica. Il ragazzo è il figlio di Saul? O è simbolo di una perdita più grande?
Tutto quello che vi serve sapere è negli occhi spettrali di Röhrig, la cui performance cruda e affascinante è superlativa. Nemes affronta di petto un argomento di enorme complessità.
Il risultato è, semplicemente, un grande film.