Un nuovo genere di videogame, apparso negli ultimi tempi, si è guadagnato suo malgrado una strana etichetta: walking simulator. È una definizione che porta con sé un certo sarcasmo: un simulatore di camminate non sembra esattamente fonte di eccitazione e adrenalina. Da qui la fama negativa che circonda titoli come Everybody’s Gone to the Rapture, Proteus, Gone Home, Dear Esther, molto apprezzati dalla critica ma accusati, da una non trascurabile parte del pubblico, di non valere il loro prezzo a causa della mancanza di azione. Per alcuni, evidentemente, un’atmosfera suggestiva e una narrativa improntata alla soggettività non sono qualità che rendono un videogame degno di questo nome.
Un titolo appena uscito che di atmosfera letteralmente trabocca è Firewatch, primo progetto di un piccolo studio indipendente con sede a San Francisco, Campo Santo, fondato alcuni veterani dell’industria con alle spalle titoli come The Walking Dead (delle serie interattive Telltale) e Mark of the Ninja, e di cui fa parte anche l’artista inglese Olly Moss, famoso per reinventare i poster del cinema con uno stile molto riconoscibile. Quello stesso stile che ha applicato qui: la prima cosa che colpisce di Firewatch, appunto, è che si tratta di un videogame che ha goduto di una direzione artistica eccellente. Ora abbiamo la conferma che Olly Moss ama tantissimo l’arancione. Mettiamo subito in chiaro una cosa: in questo gioco si cammina, e tanto. E non si spara a nessuno. Va benissimo così.
Firewatch si svolge nel 1989 in Wyoming, nel grande parco nazionale americano di Shoshone. Il protagonista è Henry, un quarantenne con un dramma alle spalle, che ha scelto la solitudine e il silenzio della natura selvaggia come una specie di modalità stand-by della propria vita. Prima ancora che Firewatch cominci, il giocatore è introdotto nel background della vita di Henry. Nei videogame gli spiegoni iniziali, sotto forma di testo o di filmati introduttivi, non sono certo una novità. Ma Firewatch costruisce una premessa attraverso una sorta di avventura testuale che si concentra sul passato di Henry e sulla sua relazione con la moglie. Questa intro stabilisce subito il tono adulto ed estremamente personale della vicenda che seguirà. Al giocatore è chiesto di prendere il controllo e di immedesimarsi con Henry; ma al tempo stesso, sarà necessario ricordarsi da dove viene questo personaggio, e da quali traumi sta sfuggendo.
Henry (doppiato splendidamente dall’attore Rich Sommer, famoso per il suo ruolo di Harry Crane in Mad Men) si ritrova così alloggiato su una torre di avvistamento per incendi in mezzo alla sterminata natura del parco. Il suo compito è sorvegliare tutta quella vastità. La vista è spettacolare. Henry non è del tutto solo: può comunicare, per mezzo di un walkie-talkie, con il suo capo, Delilah (Cissy Jones). Delilah non si limita ad assegnare compiti a Henry: è il suo unico contatto con il resto del mondo, in un’epoca in cui nessuno aveva ancora i cellulari. I dialoghi tra Henry e Delilah, controllati dal giocatore, sono l’aspetto migliore di Firewatch: naturali, brillanti, realistici. Riescono persino a instaurare una tensione erotica credibile, tra i due. Semplicemente, sono scritti alla grande.
Ma alla base di Firewatch c’è un mystery: Henry deve indagare su alcuni strani avvenimenti all’interno del parco. In ordine sparso e senza spoiler: una misteriosa figura appare dove non dovrebbe essere; un’effrazione; ragazzine fuori controllo amanti della birra; i romanzi (dalle bellissime copertine) di un certo Richard Sturgeon; una zona recintata di cui non è a conoscenza nessuno; e Delilah – Henry si può veramente fidare di Delilah? E noi giocatori, possiamo veramente fidarci di Henry?
Gli autori di Firewatch sono stati molto bravi a costruire in modo lento, ma graduale, questa atmosfera di mistero, anche se probabilmente il finale non regge tutte le aspettative. Un altro difetto: si sente la mancanza di una vera fauna, dentro questo scenario naturale così affascinante. È vero, il mondo di Firewatch ha tratti da fumetto, con forme troppo regolari e colori troppo accesi per sembrare veri. Ma rispetto a un videogame come Far Cry Primal – per citarne solo un altro pubblicato questo mese – così ricco di ogni tipo di forme di vita, il grande parco naturale di Firewatch sembra quasi disabitato: uno scenario bellissimo ma astratto, che non fa che amplificare la solitudine esistenziale del suo protagonista.
Firewatch è un’avventura breve ma appagante, un titolo che riesce a essere sperimentale pur mantenendosi quasi sempre godibile. E anche se il costo di un prodotto culturale è qualcosa che viene percepito sempre in modo molto soggettivo, €19,99 sembra un prezzo giusto. Firewatch non è per tutti, certo: come non sarebbe per tutti, del resto, scegliere di passare un’estate della propria vita nella solitudine estrema della natura. Ma videogame come questo hanno il grande merito di osare e di proporre al pubblico qualcosa di nuovo, che va oltre il solito manuale dell’industria. A qualcuno potrà sembrare strano: ma là fuori c’è anche gente che non chiede altro che camminare nella natura, e al posto degli spari godersi il silenzio. Nessuno è perfetto, come ci insegna Henry.