Jon Hopkins, la recensione di 'Singularity' | Rolling Stone Italia
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La meditazione di Jon Hopkins

'Singularity' è l'album più radicale della carriera del producer-compositore, che dietro al pianoforte fa convivere la classica con la cassa dritta

La meditazione trascendentale ha cambiato Jon Hopkins. La ripetizione del mantra lo ha lentamente affogato in stati sempre più profondi di consapevolezza, e lì ha trovato lo spazio aperto, il cielo stellato e l’album più radicale della sua carriera, Singularity. È un disco di paradossi, dove la cassa dritta convive con il pianoforte minimal, il clubbing con la contemplazione psichedelica, la classica con il linguaggio binario, come se il cosmo l’avesse trovato guardando dritto dentro di sé.

E in realtà è andata proprio così: l’artwork è frutto di una visione avuta nel deserto sotto l’effetto di sostanze psichedeliche, il culmine di un percorso iniziato in Olanda insieme a un’equipe di specialisti. Ci si sente insignificanti di fronte all’universo e immersi nel silenzio, ha detto quello che è ormai a tutti gli effetti un compositore e non più un producer. Diventa così insignificante il beat di fronte alle architetture di pad, arpeggiatori, melodie dentro melodie, suoni che degenerano in altri suoni come succede a una funzione matematica quando incontra una singolarità, cioè il punto in cui perde le sue proprietà.

Chiariamoci, i momenti da club ci sono e non sono neanche pochi (Emerald Rush, Neon Pattern Drum, la title track), ma suonano sempre distanti, razionali, come se Hopkins avesse trovato l’equazione giusta per far muovere fianchi e coscienza contemporaneamente.

Ma è la rilettura dei classici ambient di Brian Eno – Music for Airports su tutti – il centro di Singularity, che nei suoi tre brani conclusivi (Echo Dissolve, Luminous Beings, Recovery) sprofonda in una lunghissima coda maggiore, dove tutto ciò che è sintetico si fa sempre più lontano e rimane solo il pianoforte.

Non sorprendetevi, quindi, se vi ritroverete ad ascoltarlo in un auditorium – magari osservandolo mentre suona seduto proprio dietro allo strumento dove ha scoperto la musica, magari insieme a un ensemble di musicisti – o sdraiati per terra di fronte al miglior impianto possibile. Oppure, se volete seguire i suoi consigli, durante un lungo viaggio in treno, possibilmente di notte. Sennò a che serve il treno?

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