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Jovanotti – Lorenzo 2015 CC.

C’è ed è enorme–doppio cd con 30 pezzi quasi tutti oltre i 4 minuti di durata–l’idea lorenzesca della “musica che ti porta in un posto figo”, così canta in pieno di vita. Come in quelle compilation da viaggio di Spotify tipo “Una Carica di Espresso”, “Happy songs” o “Primavera chill”, Lorenzo orchestra i nostri più […]
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C’è ed è enorme–doppio cd con 30 pezzi quasi tutti oltre i 4 minuti di durata–l’idea lorenzesca della “musica che ti porta in un posto figo”, così canta in pieno di vita. Come in quelle compilation da viaggio di Spotify tipo “Una Carica di Espresso”, “Happy songs” o “Primavera chill”, Lorenzo orchestra i nostri più comuni stati d’animo regalandoci la partitura del coro, allo stadio o sotto la doccia, felici (“Questo è un grande giorno da vivere”), incazzati (il “mandiamoli a cagare” incipit de Il mondo è tuo), il più delle volte innamorati, quantomeno dell’idea di esserlo per tutta la durata di ballad riuscite come Un bene dell’anima e Ragazza magica. E quando hai in mano la copertina, l’ennesima con una foto di lui che ti guarda – quasi fosse un progetto artistico di lungo corso – e la scritta Lorenzo in stampatello, hai la speranza di riconoscerti in quel disco, nel cantante con cui vi date del tu–tu, Lorenzo–da tempo.

L’empatia è il suo swag, quello che gli permette di fare un pezzo alla Battiato, L’astronauta, uno alla Calexico, Caravan Story, e uno alla Jovanotti, Tutto acceso, senza tradire i fan, portandoseli dietro in un futuristico trenino della festa. Già, perché la testa si muove per tutte le 30 canzoni seguendo un suono che è sempre più organic, secondo la definizione che ne dà Kendrick Lamar intervistato da RS nel numero scorso: «Se ascolti gli strumenti, non puoi riprodurli, non puoi fare con un programma al computer quello che fanno le corde, sono suoni troppo caldi». Con questa attitudine – e pure con un sacco di voglia di divertirsi – nascono le collaborazioni con gli afrofunkers Antibalas (Melagioco) e con Bombino (Si alza il vento), due jam session che diventano canzoni, rimanendo jam session.

Piccole magie da artigiano del beat, lo stesso che rappa il “pensiero positivo” – di cui oramai, almeno nella scena musicale italiana, detiene i diritti d’autore – con un flow così malinconico da far suonare in blue note rime come “mille violini suonati dal vento/mille telefoni in cerca di campo”. Mica facile. Lui, Lorenzo, la chiama allegria triste, la stessa di Azzurro o L’estate sta finendo. Ma non è solo predisposizione d’animo, c’è mestiere, perché, come nei libri di didattica musicale per bambini (cui Lorenzo piace quanto ai “grandi”), ogni colore ha il suo strumento: i fiati per la nostalgia, l’elettronica alla M83 per l’epica, la chitarra acustica per fare il romantico, la cassa dritta per lanciare il messaggio, qualunque esso sia perché “dall’Africa all’Antartide qualcuno sta tenendo acceso un fuoco” (canta in Tutto acceso). Che poi questa costruzione del testo, “dall’Africa all’Antartide”, pare proprio una citazione del più celebre “una grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa” del Jovanotti di Penso Positivo: lo zaino musicale di Lorenzo è zeppo di metafore collaudate, autocitazioni e software con l’upgrade delle rime cuore – amore.

Pure l’idea di cambiamento, il tifo da stadio per il futuro e la famosa Tensione Evolutiva, che da sempre caratterizzano la sua poetica, tornano in questo nuovo Lorenzo 2015 CC. nel pezzo di apertura, la soft-apocalittica L’alba: “Non si può tornare indietro / nemmeno un minuto / è la regola di questo gioco”. Lorenzo non torna indietro, ma finalmente oggi fa pace con il suo passato, quello di quando non si sentiva all’altezza, perché non lo facevano sentire così, perché era Jovanotti l’ignorante che fa uno due tre casino, quello che “non sarà certo un cantante”. E oggi semplicemente fa quello che gli piace. Sapendo, e tenendosi stretto questo pensiero, che ormai è quello che ci piace: l’ombelico del mondo di Lorenzo è – musicalmente parlando – l’ombelico di Lorenzo che fa ogni anno il giro del mondo.

C’è una parola, che è un suono e che – nascosta in uno dei pezzi più belli, Ragazza magica – del disco è la scheda madre, l’ombelico appunto: è uno “Yeah”, potente e divertito, che, come direbbe il nostro, va da Enzo Jannacci a Kanye West passando per Fela Kuti e Diplo fino ad arrivare a Jovanotti. Andate a cercarlo, yeah!

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