Jack Antonoff somiglia sempre più a Bruce Springsteen | Rolling Stone Italia
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Jack Antonoff somiglia sempre più a Bruce Springsteen

Oltre ad essere presente in una canzone, il Boss è uno degli spiriti guida di 'Take the Sadness Out of Saturday Night', l'album dei Bleachers in cui il produttore di Taylor Swift e Lorde trova la sua voce

Jack Antonoff

Foto: Carlotta Kohl

Jack Antonoff è ovunque. Se ne può misurare l’importanza tramite il numero di Grammy che ha vinto (cinque), spulciando liste dei preferiti della critica o le classifiche di vendita e ascolto. Oppure lo si può fare tramite i meme, cosa rara per un autore e produttore che si muove per lo più dietro le quinte. Come questo fatto maldestramente con Photoshop in cui Lorde dice a Taylor Swift che è arrivato il suo turno di lavorare col produttore. O il video su TikTok in cui tre uomini si passano un bimbo, con la scritta: “Lorde, Clairo e Phoebe Bridgers si passano Jack Antonoff”. Una veloce ricerca su Twitter porta meme simili in cui il produttore viene fatto girare come una canna.

I Bleachers, sostanzialmente un suo progetto solista, sono il modo migliore per comprendere a fondo il mondo di un musicista noto per lo più per le collaborazioni con Taylor Swift, Lorde, Lana Del Rey, St. Vincent, Chicks, Clairo. Queste canzoni perfette da ascoltare in auto fanno tanto New Jersey, lo Stato dove Antonoff è nato e cresciuto. Se il debutto del 2014 Strange Desire e Gone Now del 2017 raccontavano storie di vita, delusioni d’amore e speranza con fioriture pop contemporanee e un orecchio teso al sound anni ’80, un po’ come Antonoff faceva all’epoca con Swift e Lorde, il sound del nuovo Take the Sadness Out of Saturday Night è, per mancanza di termini migliori, “naturale” e analogico, un po’ come fa ora con Del Rey e St. Vincent.

È un disco coeso, interessante, a tratti rivelatore, nato dalla fine di una relazione nel 2017, ma finito durante la pandemia. Come ha spiegato il produttore, i sentimenti derivanti dalla fine della storia si sono rispecchiati nell’impossibilità di suonare con altre persone. «Nel disco ci sono tante canzoni disperate, così mi sono detto: è così che si sente chi viene dal New Jersey, ha la disperazione di chi vuole fuggire, di chi vuole iniziare altrove una nuova vita». Per placare questa disperazione, Antonoff ha chiamato i Bleachers in studio. La loro energia sta alla base di alcuni fra i momenti migliori del disco.

Si sente più che mai l’amore di Antonoff per Bruce Springsteen. Non solo in Chinatown dov’è presente la voce del Boss, ma anche in Don’t Go Dark e How Dare You Want More?. Ci sono elementi orchestrali che ricordano i Beatles più barocchi e il folk-pop da camera di Arcade Fire, Sufjan Stevens e Vampire Weekend (periodo Rostam). I momenti migliori sono quelli che suoneranno famigliari ai fan del gruppo come Stop Making This Hurt, Don’t Go Dark o How Dare You Want More?, pezzi pop-rock scritti in modo impeccabile e perfezionati in studio con precisione chirurgica, senza però sterilizzare la naturalezza delle performance.

Si sentono frammenti di dialogo e grida, un vecchio espediente che funziona perché si capisce che non sono momenti finti e anzi la gioia diventa davvero contagiosa quando tutti i Bleachers tentano di cantare l’assolo di sax in How Dare You Want More?. In Don’t Go Dark la voce di Antonoff è caricata di riverbero, come se stesse cercando di restare al passo con se stesso, mentre le inconfondibili armonie delle Chicks suonerebbero alla grande in un palasport, ma ancora meglio nello spazio angusto compreso tra il soffitto basso e il pavimento appiccicoso d’un club.

Non c’è un solo pezzo inascoltabile in Take the Sadness Out of Saturday Night e anche quello più insignificante, Secret Life, ha un paio di cambi di accordi interessanti. I testi rimuginano su un amore che sta finendo e passano dalla depressione alla speranza in un futuro migliore. Ci sono espressioni ricorrenti, come sempre succede negli album dei Bleachers, ad esmepio i fantasmi in Secret Life, Strange Behavior e What’d I Do With All of This Faith. Si prova spesso una sensazione di familiarità e certi passaggi di Chinatown sembrano prodotti da un’intelligenza artificiale allenata a suonare come la E Street Band, né è particolarmente eccitante sentire Springsteen cantare una frase come “voglio trovare il domani con te, baby”, specie per uno che 34 anni fa se n’è uscito con Light of Day. La scrittrice Zadie Smith e Lana Del Rey sono co-autrici rispettivamente di 91 e Don’t Go Dark, due fra le canzoni migliori dal punto di vista del linguaggio e quando’è al suo meglio i testi di Antonoff non cadono nei luoghi comuni del rock.

La cosa migliore di Take the Sadness Out of Saturday Night è in fin dei conti l’incapacità di Antonoff di abbandonarsi completamente ai suoi stessi desideri, un fatto che il musicista associa al retaggio ebraico della sua famiglia e che gli suggerisce d’essere circospetto e pieno di sensi di colpa. È interessante sentire da un autore onesto e avverso al cinismo chiedere in Stop Making This Hurt: “Se eliminassimo tutta la tristezza dai sabati sera resterebbe qualcosa per cui vale la pena lottare?”. Vuole lasciarsi la tristezza alle spalle senza però abbandonarsi del tutto. Non c’è trionfo, alla fine, giusto un sospiro yiddish: “Mio dio, siamo a malapena sopravvissuti”.

Questa tensione, combinata all’energia della band, fa di Take the Sadness Out of Saturday Night l’album migliore dei Bleachers. Eppure non sembra all’altezza delle grandi aspettative che lo stesso Antonoff ha fissato per se stesso, in quanto artista che fa album e non semplici canzoni. Ci sono però pezzi all’altezza della sua fama e l’album dà l’impressione che il produttore stia mettendo a fuoco la vera natura dei Bleachers. Se davvero Take the Sadness Out of Saturday Night è stato fatto per aprire una nuova fase, forse vedremo i frutti nel prossimo album.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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