Evanescence, la recensione di ‘The Bitter Truth’ | Rolling Stone Italia
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In un mondo di stronzi, gli Evanescence combattono la buona battaglia



Dimenticate ’Synthesis’. La band di Amy Lee è tornata dopo 10 anni con 'The Bitter Truth', un disco potente che parla di redenzione. Alla ricerca del Valhalla, senza dimenticare di divertirsi

Evanescence

Foto: Nick Fancher

Quando è apparsa sulle scene, non c’era nessuno come Amy Lee degli Evanescence. Il nu metal non era semplicemente dominato dagli uomini, era dominato dagli stronzi. Eppure Lee è emersa da quel mondo di lamentosi barbuti come una creatura mitica e questo grazie a una potenza vocale straordinaria e al carisma emo-goth. Solo che nel loro ultimo album, Synthesis del 2017, gli Evanescence avevano preso una piega un po’ artistoide. Ora con The Bitter Truth tornano alle origini e si gettano alla carica nonostante le ferite di guerra, alla ricerca del loro personale Valhalla.

In The Game Is Over, Lee canta delle volte in cui si è morsa la lingua e ha perso il controllo, poi la band inizia ad alzare il tiro e lei affronta il tema centrale del pezzo: essere autentici in un mondo di plastica. “Cambiatemi in qualcosa in cui credo”, canta Lee. Broken Pieces Shine ha una forza primitiva, quasi industrial, Feeding the Dark ha atmosfere oscure, mentre Better Without You parla di purificarsi dopo una separazione difficile. In Use My Voice, gli Evanescence passano da un pezzo pensoso, basato sul pianoforte e con un testo che parla di ricerca di sé, a un assalto feroce, con Lee che canta di non voler restare inascoltata anche se il mondo sembra fare apposta per zittirla. In Far From Heaven, invece, mette in mostra le sue doti da cantante di ballad: il brano è una meditazione sulla ricerca della spiritualità e l’ambivalenza delle religioni. È un momento in cui il suo background personale diventa centrale e non è l’unico: ascoltate le sfumature soul che mette in mezzo ai riff e ai suoni elettronici di Blind Belief.

Tutti questi drammi e conflitti potrebbero risultare opprimenti se non fosse per la fede incrollabile di Lee nel potere di un bel ritornello. Il momento migliore dell’album è anche quello più sfacciatamente pop: Yeah Right, un brano bollente, bubblegum pop vestito di nero, che inizia come una via di mezzo tra The Beautiful People di Marilyn Manson e Womanizer di Britney Spears, poi si lancia in un ritornello enorme, zuccheroso e perfetto da gridare. È la prova che anche se la battaglia per redimere la propria anima è una cosa seria, c’è sempre tempo per divertirsi.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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