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‘Il ritorno di Mary Poppins’ è un’overdose di zucchero che rende felici

Nonostante il film non regga il confronto con l’originale, il talento straordinario di Emily Blunt e Lin-Manuel Miranda vale il prezzo del biglietto. 


3 / 5

Non vi sorprenderà scoprire che Il ritorno di Mary Poppins, un bel caramellone industriale, non è all’altezza dell’originale del 1964. Come si fa a sostituire l’immortale Julie Andrews e la sua tata londinese caduta dal cielo per dispensare un po’ di tough love? Per fortuna c’è Emily Blunt, un’attrice capace di trovare una magia tutta sua nel ruolo dell’impaziente e imperiosa tuttofare descritta come “una Joan Crawford che prova a fare la carina”.

Questo seguito, diretto con efficacia da Rob Marshall, è ambientato 25 anni dopo la fine del primo film, ma segue lo stesso ritmo, compresa la colonna sonora scritta da Marc Shaiman e Scott Wittman, perfetti nell’imitare il suono degli Sherman brothers. Gli echi del passato sono ovunque – soprattutto nel personaggio di Jack (Lin-Manuel Miranda), che vi ricorderà lo spazzacamino di Dick Van Dyke, finto accento Cockney compreso. Che ci fa in questo film il creatore di Hamilton? Semplice: si diverte un mondo. Per essere il suo debutto sul grande schermo, Miranda ha carisma da vendere e si lascia andare anche a un piccolo pezzo rap.

Ambientato nella “Grande Palude” degli anni ’30, i personaggi del film evocano Miss Poppins appena in tempo. I figli della famiglia Banks, gli stessi che aveva allevato da bambini, ora sono grandi, grossi e in piena crisi. Jane (Emily Mortimer) si occupa dei diritti della classe lavoratrice, e il fratello-vedovo Michael (Ben Whishaw, la depressione personificata) è un artista fallito che cresce da solo i suoi tre figli Annabel, John e Georgie. Saranno loro ad chiamare Mary Poppins giù dal cielo.

E sarà di nuovo questa tata paradisiaca a insegnarci che non c’è problema che una canzone allegra non possa risolvere, soprattutto con l’aiuto di un po’ di animazione, ottimismo sregolato e un amico pieno di risorse come Jack. Per quanto riguarda la trama, lo sceneggiatore David Magee pesca a piene mani dal seguito scritto nel 1935 (uno degli otto libri dedicati a Mary Poppins… prepariamoci a un altro franchise).

E insomma, prima che possiate dire “supercalifragilistichespiralidoso” Mary, i bambini e Jack si imbarcano in una serie di avventure fantastiche: un viaggio in un bagno collegato a un regno sottomarino; la visita alla cugina di Mary, Topsy (una Meryl Streep splendidamente fuori di testa), e alla sua casa sottosopra; un viaggio a cartoni animati e così via.

Per calmare i suoi giovani, Mary canta una strana ballata che spiega come lo spirito della mamma scomparsa sia nelle bambole e negli ombrelli (a che diavolo stavano pensando quelli di Disney?). E perché la tata è così perversa da dimenticare i suoi poteri magici fino all’ultimo secondo, così da far rischiare la vita a tutti quei lampionai arrampicati sul Big Ben, quando potrebbe volare e far guadagnare tempo all’indebitato Michael? Il suo è un modo per insegnarci l’autonomia economica o sta solo cazzeggiando? Chissà.

Emily Blunt, per fortuna, aggiunge un po’ di piccante a un film che esagera con gli zuccheri. Verso la fine appare anche Dick Van Dyke, ora 91enne, che ci regala un balletto e una risata – non nei panni di Bert ma in quelli di un gentile banchiere. Poi, in un cameo pensato per Julie Andrews, ecco Angela Lansbury, che ci accompagna verso i titoli di coda cantando un bel brano intitolato Nowhere to Go But Up.

Sarebbe stato splendido rivedere Andrews nel ruolo che le ha regalato l’Oscar, ma l’ultima cosa di cui ha bisogno questo film è regalarci altre ragioni per rimpiangere il suo predecessore. Tuttavia, ogni volta che Blunt e Miranda hanno la possibilità di ignorare l’overdose di glucosio del film e mostrare il loro unico e straordinario talento, Il ritorno di Mary Poppins dimostra di avere il potenziale per renderci ancora una volta incredibilmente felici.

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