Rolling Stone Italia

Il ponte delle spie

Leggi la recensione dell'ultimo film di Steven Spielberg con Tom Hanks su RollingStone.it
4 / 5

A chi non piace farsi cullare da un bel thriller di spie vecchia maniera con la tensione ben costruita e mantenuta fino alla fine?  Il ponte delle spie (Bridge of Spies) annoierà l’audience con sindrome da deficit di attenzione e allergica ai film storici, ma è una prelibatezza per gli esperti. Stiamo parlando di Steven Spielberg alla regia e Tom Hanks protagonista, al lavoro su una sceneggiatura di Matt Charman rifinita niente di meno che dai Fratelli Coen.

Il focus è il momento di svolta della Guerra Fredda, quando un aereo spia americano U-2 viene abbattuto in volo sull’Unione Sovietica nel 1960 e gli Stati Uniti devono negoziare la liberazione del pilota Francis Gary Powers (Austin Stowell). Secondo l’avvocato James B. Donovan (Hanks), il modo migliore per farlo è scambiare Powers con il Colonnello Rudolf Abel (un eccezionale Mark Rylance), spia russa nata in Inghilterra, che lavorava sotto copertura a Brooklyn prima di essere arrestata dall’FBI per spionaggio nel 1957. Il suo arresto, girato freneticamente da Spielberg, apre il film con il botto. Poi inizia la parte difficile. A partire dall’insistente colonna sonora di Thomas Newman, in sostituzione del sodale di Spielberg John Williams.

Anche il trailer strilla: “All’ombra della guerra / Un uomo ha fatto vedere al mondo / Quello in cui crediamo”. Dato che quell’uomo è interpretato da Hanks, un attore con l’inestimabile dono dell’understatement (vedi Salvate il soldato Ryan, sempre di Spielberg), le trombe si potevano evitare. Donovan è un avvocato assicurativo, con moglie (Amy Ryan) e figli a casa. Quando il suo capo (Alan Alda) gli offre di rappresentare Abel, Donovan diventa il tizio che sta cercando di liberare un traditore. Hanks mostra il quieto eroismo di Donovan con un ammirabile contegno. È la sceneggiatura a sottolinearlo, con Abel che lo chiama “l’uomo che non cede”, pronto a rialzarsi ogni volta che viene buttato a terra.

Il ponte delle spie riesce meglio nelle zone grigie, quando Donovan vede Abel e Powers come patrioti che scommettono sui loro Paesi. Risplende quando Spielberg mostra il carattere del protagonista con l’azione, come quando Donovan va a Berlino dove i cospiratori quasi lo ammazzano. Durante il crescendo che porta allo scambio dei prigionieri sul ponte Glienicke, ci sono poi dei momenti dove si fatica a capire chi sia il buono e chi il cattivo, e la solita roba da spie diventa una potente provocazione.

Iscriviti