Il favoloso mondo psichedelico dei Winstons | Rolling Stone Italia
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Il favoloso mondo psichedelico dei Winstons

Organi mistici, chitarroni e riverberi per un disco già candidato ad essere uno dei lavori migliori dell'anno

Ormai da qualche tempo una ben definita cerchia di musicisti italiani ha deciso di mischiare le squadre, in un quadro che sembra sempre più arbitrario e riconducibile a un movimento unico. Questi progetti paralleli sembrano gli unici svincolati dalle leggi di mercato e al riparo dalle ventate delle mode passeggere che imperversano nelle classifiche di streaming. La libertà espressiva che gli permette di spaziare su nuovi generi ibridi sta, forse anche oltre ogni più rosea aspettativa, ottenendo risultati straordinari in termini di riscontro del pubblico, naturale conseguenza del fare ottima musica.

L’ultimo esempio in ordine di tempo è stato il tridente inedito Viterbini-Rondanini-Ferrari che assieme hanno formato gli I Hate My Village, un progetto che vi abbiamo raccontato da subito come uno dei più interessanti degli ultimi tempi. A pochi mesi di distanza ecco una nuova chimera, stavolta formata dall’assemblaggio dei pezzi di Enrico Gabrielli, Roberto Dell’Era e Lino Gitto, un altro trio delle meraviglie che assieme risponde al nome di The Winstons.

Un ritorno tanto inatteso quanto potente, Smith è il secondo disco di questa famiglia, come preferirebbero essere chiamati in queste vesti i fratelli Enro, Rob e Linnon con il titolo del disco giocano col nome del protagonista di 1984, appunto Winston Smith, ma con le chitarre non gioca affatto.

L’intro di organi mistici di Mokumokuren ci spalanca subito le porte di una esotica città fantasma emersa dalla polvere del deserto, da cui arrivano schiamazzi, urla, il riverbero di culti perversi e incestuosi. Già nei primissimi secondi di Around the boat non si può non pensare ai King Crimson più apocalittici, gli stessi che si trovano nel pezzo successivo, Tamarind Smile/ Apple Pie un pezzo doppio come da titolo, che cambia registro all’improvviso, come vuole la psichedelia tradizionale.

Le partecipazioni di Richard Sinclair, Nick Cester e Mick Harvey (che firma il featuring più bello, A man happier than you, una ballata un po’ coheniana, un po’ lennoniana, un po’ laneganiano, un po’ callahaniano), danno ancora il respiro internazionale di ogni traccia che suona tremendamente credibile nelle sue mire esterofile, probabilmente come non era mai accaduto nella storia recente della discografia italiana. Il viaggio psicotico, allucinogeno e pieno di presagi dei Winstons prosegue nelle forme più disparate, da segnalare la bizantina Soon Everyday sia per i coretti morriconiani che per gli assoli di sax, e la alienante Sintagma che parla una lingua tutta sua come questa band che irrompe nel momento di massimo bisogno sulla scena, come tutte le migliori storie di supereroi.


Smith sta alla musica italiana del 2019 ,come la notizia della legalizzazione degli psichedelici a Denver sta a quella della chiusura dei negozietti che vendono l’erba finta in Italia. Due mondi, due immaginari totalmente diversi, paralleli, opposti. In entrambi i casi è abbastanza facile intuire dov’è che ci si diverte di più.

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