Rolling Stone Italia

Il capolavoro senza novità di Father John Misty

Niente slanci virtuosi, niente barocchismi: Josh Tillman ha scritto dieci pezzi uno più bello dell'altro, e 'God's Favorite Customer' è il suo album migliore
4 / 5

“Come sarebbe, se fossi tu il songwriter e amarmi fosse il tuo capolavoro misconosciuto?”. Si chiede Josh Tillman – rivolgendosi verosimilmente a sua moglie, nonché rinomata musa – in Songwriter, uno dei pezzi più belli del suo quarto album nelle vesti di Father John Misty. Beh, con tutto il rispetto per le doti cantautorali di Emma, la risposta è che ci saremmo persi un capolavoro.

Lo dico contro ogni aspettativa, visto che God’s Favorite Customer arriva a poco più di un anno da Pure Comedy, un album che ho cominciato a riconsiderare un mezzo passo falso, almeno al cospetto di I Love You, Honeybear, uno dei migliori lavori degli ultimi anni. Insomma, niente faceva presagire che ci fossero i presupposti per trovare idee o ispirazione in questo accelerazionismo produttivo, invece – passata la sbornia mistica e il tentativo non riuscitissimo di inserire particelle di critica sociale – ecco dieci pezzi uno più bello dell’altro.

Nessuna grande novità in termini di arrangiamenti e sound, anzi, si percepisce un generico tentativo di evitare ogni slancio virtuoso o barocchismo fuori luogo. Pezzi non più lunghi di cinque minuti, molti pianoforte e voce, che probabilmente è la soluzione nella quale Mr. Tillman rende al meglio, e quel suo modo un po’ depresso e un po’ umoristico di scrivere canzoni come in Please Don’t Die e The palace: mattinate perse nei nulla di fatto, nostalgia e senso di insofferenza che spingono a dire “I’m feeling older than my 35 years”, il tutto illanguidito dallo sfaldamento di quella romantica e struggente luna di miele con Emma.

Father John Misty sul palco del Primavera Sound, foto Eric Pamies

La forza di God’s Favorite Customer si genera nella fiducia di un songwriting che non cerca scappatoie dalla narrazione, e ci regala un album commovente che si conclude con un apice di lennonismo nell’intenso abbraccio finale di We Are Only People, rassicurante tanto quanto il fatto che è Tillman a essere il songwriter.

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