I Car Seat Headrest indossano una maschera per ricordarci quanto siamo vulnerabili | Rolling Stone Italia
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I Car Seat Headrest indossano una maschera per ricordarci quanto siamo vulnerabili

La band di Will Toledo sposa la massima di Oscar Wilde: «Datemi una maschera e vi dirò la verità». E la loro verità su società, solitudine e amore la dicono usando un mix di rock ed elettronica

Car Seat Headrest

Foto: Carlos Cruz

Nel 2016, Will Toledo dei Car Seat Headrest ha consolidato il suo status di eroe dell’indie col favoloso Teens of Denial. Due anni dopo ha pubblicato un eccellente remake dell’album del 2011 Twin Fantasy e nel 2019 ha messo fuori un live. Sono perciò quattro anni che i Car Seat Headrest non pubblicano una raccolta di inediti, un’eternità per una band esplosa mettendo su Bandcamp nove album tra il 2010 e il 2014. Quando in febbraio Toledo ha annunciato la pubblicazione di Making a Door Less Open ha detto che sarebbe uscito a nome del suo alter-ego Trait, un personaggio che appare in foto con occhi al led e il viso nascosto da una maschera antigas. Ovviamente non poteva immaginare che a causa della pandemia il personaggio di Trait avrebbe messo a disagio le persone.

In una recente intervista al New York Times, Toledo ha ammesso che oggi la maschera ha assunto un significato più inquietante, ma resta la giusta chiave di lettura di Making a Door Less Open. Trait deriva da 1 Trait Danger, progetto parallelo di musica elettronica sviluppato da Toledo col batterista dei Car Seat Headrest Andrew Katz. Mentre la band lavorava a Making a Door Less Open, gli 1 Trait Danger pubblicavano due album instaurando un rapporto simbiotico con la band madre. Uno degli highlight di questo disco, Deadlines (Thoughtful), eredita il suono palpitante di sintetizzatori da D R O V E M Y C A R degli 1 Trait Danger, un electro-rap su un adolescente che si sballa nel suv di papà. Musicalmente, il progetto 1 Trait Danger ha portato nei Car Seat Headrest un po’ di EDM e ha influenzato l’approccio di Toledo. In fondo stiamo parlando di un ventisettenne diventato famoso in un mondo come quello dell’indie che si prende troppo sul serio. E difatti Toledo ha spiegato che Trait è anche «un modo per ricordare a me e agli altri di divertirsi un po’».

I Car Seat Headrest hanno registrato due versioni di Making a Door Less Open, una con una strumentazione rock classica, l’altra solo coi sintetizzatori. Alla fine le hanno combinate (la versione fisica e quella digitale differiscono lievemente nel mix e nella track list; questa recensione si basa sulla digitale). Il risultato è un album coinvolgente e avventuroso, tirato a lucido ma non troppo, un esperimento ben riuscito di fusione tra i generi che esalta la scrittura di Toledo, il suo umorismo, la sua autoironia, il suo cinismo e la sua capacità di provare compassione. Ma anche il talento nel descrivere scene e dettagli su musiche tese che esplodono in ritornelli indimenticabili.

Buona parte del fascino esercitato da Toledo sta nella capacità di creare dischi attraversati da temi chiave. Teens of Denial e Twin Fantasy raccontavano rispettivamente un romanzo di formazione e una storia d’amore. Nel disco nuovo non c’è nulla di simile. Ci sono ancora grandi temi – «rabbia nei confronti della società, malattia, solitudine, amore» – ma anche cose molto più prosaiche e adatte all’understatement tipico del modo di cantare di Toledo che viene declinato in modi emozionanti e inattesi. Anche quando il disco è goffo rimane avvincente. Ad esempio in Hollywood, un pezzo divisivo contro l’industria dell’intrattenimento e il suo sistema basato su fantasia e sfruttamento, con un riff hard rock pesante quanto il ritornello: “Hollywood mi fa venire da vomitare”.

La voce di Toledo ricorda la descrizione che Greil Marcus fa nel libro Quella strana vecchia America del modo tutto americano in cui i cantanti indossano maschere: voci così piatte che con la minima inflessione riescono a dire qualsiasi cosa. Toledo ha un modo cantare, anzi di canticchiare freddo, come di vulnerabilità che comincia a sciogliersi. È una maschera che portava ben prima di Trait e che tutti quanti abbiamo indossato per superare un’altra stupida festa, un’altra giornata interminabile, un altro strazio o una brutta cotta. I Car Seat Headrest danno il meglio quando catturano il momento in cui questa maschera inizia a cadere, quando tutto ciò che vogliamo dire, fare o essere si confonde in commedia o tragedia. Quando cerchiamo di chiudere una porta, ma riusciamo al limite a renderla meno aperta, come suggerisce il titolo dell’album.

Toledo ha detto che, al di là della sperimentazione sonora, ogni pezzo di Making a Door Less Open somiglia a una canzone folk. «Le si può cantare e suonare in tanti modi diversi, e riguardano temi importanti per un bel po’ di gente». Toledo conosce la storia del rock e del pop e non c’è da stupirsi che abbia questa visione populista e democratica della musica. Cerca di tracciare un percorso verso un futuro privo di generi musicale, mentre i Car Seat Headrest riescono a rendre universale la ricerca individuale delle cose che ci tengono assieme.