‘Homecoming 2’, Janelle Monáe sostituisce Julia Roberts. Ma è tutto un déjà vu inutile | Rolling Stone Italia
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‘Homecoming 2’, Janelle Monáe sostituisce Julia Roberts. Ma è tutto un déjà vu inutile

I nuovi episodi si fanno guardare anche se, nonostante l'ottimo incipit, la storia è un rimaneggiamento fin troppo evidente della stagione precedente. E si sente parecchio la mancanza dello showrunner di 'Mr. Robot'

Janelle Monáe

Una donna si sveglia su una barca a remi. È in mezzo a un lago. Non ha la più pallida idea di come ci sia arrivata. Peggio: non ha idea di chi sia. È un signor incipit: le possibilità che questo soggetto può offrire sembrano illimitate. In realtà, però, non è un inizio, ma un proseguimento: il primo episodio della seconda stagione di Homecoming, appena arrivata (con un certo ritardo) su Amazon Prime Video. E la storia della donna alla ricerca della propria identità perduta è un rimaneggiamento fin troppo evidente della stagione precedente. L’occasione – di partire con l’immagine della barca a remi, di rivisitare il mondo di Homecoming e di dare a Janelle Monáe il suo primo ruolo significativo sul piccolo schermo – è ben confezionata, ma in definitiva sprecata.

Monáe è la donna sulla barca che si ritrova in tasca un distintivo militare secondo cui il suo nome sarebbe Jackie. La perdita della memoria era lo stesso problema con cui doveva fare i conti la protagonista della stagione precedente, la psicologa Heidi interpretata da Julia Roberts. In una delle due linee temporali in cui si svolgeva la stagione 1, Heidi non ricordava nulla di ciò che aveva fatto nell’altra, come terapista del reduce di guerra Walter (Stephan James). Alla fine, ci veniva svelato che Heidi faceva parte di un progetto, l’Homecoming del titolo, atto a cancellare i ricordi che causavano stress post-traumatico e a permettere così ai soldati di tornare a combattere. Per punire se stessa ed evitare che Walter fosse richiamato al fronte, Heidi somministrava a entrambi una dose extra di quella medicina che cancellava la memoria.

HOMECOMING | Trailer – New Mystery on Prime Video May 22, 2020

I problemi di memoria di Heidi erano un mistero che la prima stagione manteneva per ben 10 episodi, muovendosi avanti e indietro tra il tempo da lei trascorso insieme a Walter e il futuro prossimo in cui un detective del Dipartimento della Difesa costringeva la donna a ricordare ciò che aveva fatto a Walter e agli altri soldati. Bisogna ammettere che i 18 mesi passati tra una stagione e l’altra hanno provocato in noi gli stessi effetti del medicinale del progetto Homecoming; ma, una volta che ti torna in mente quel trucchetto narrativo, l’enigma su quel che è successo a Jackie diventa per forza di cose meno interessante.

Ma ciò si può dire un po’ di tutta la seconda stagione. Intanto, sono sette episodi invece dei dieci precedenti – sempre di mezz’ora ciascuno – e la storia stessa è più esile dell’originale: sembra esistere solo per riempire i pochi buchi lasciati da un prodotto che era già completo e gratificante di suo. Anche se ricordate le belle trovate della stagione 1 – le due linee temporali, il fatto che una delle due fosse girata in verticale un con “effetto iPhone”, l’alchimia tra Roberts e James, persino gli occhiali in stile ispettore Colombo sfoggiati dal detective interpretato da Shea Whigham –, vi sarete forse dimenticati che la serie terminava con una scena incentrata su uno dei personaggi di contorno, Audrey. Interpretata da Hong Chau, Audrey era la receptionist della Geist, l’azienda dietro il progetto Homecoming, ma in una sequenza sui titoli di coda aveva il fegato di trasformare il boss malvagio Colin (Bobby Cannavale) nella vittima dell’intero progetto, prima di strofinarsi sui polsi una strana sostanza rossa.

Il soggetto della stagione 2 – chi è Jackie e cosa le è successo – riparte dalla città sulla costa del Pacifico dove Heidi aveva lasciato Walter. E si fa interessante soprattutto quando spiega quella scena tra Audrey e Colin, approfondendo le complesse dinamiche di un’azienda che produce medicinali così terribili. Considerato il segno che ha lasciato sullo schermo Hong Chau negli ultimi due anni – dal miglior episodio di un’altra serie prodotta da Amazon, Forever, al ruolo della perfida Lady Trieu in Watchmen, fino al film Driveways –, dare più spazio al suo personaggio è stata una mossa più che ragionevole. La nuova stagione si diverte a sviluppare l’idea che la semplice receptionist delle puntate precedenti sia in realtà una killer spietata, lasciando a Chau il compito di mostrare questa ambiguità, mentre l’azione continua a muoversi avanti e indietro nel tempo. E quando scopriamo ciò che lega Jackie a Audrey, il duetto tra Chau e Monáe funziona a dovere.

La chimica tra le due, tuttavia, non è forte come quella che si avvertiva tra Roberts e James, così come la storia (e il modo di raccontarla) non è solida come la precedente. Invece di procedere tra due diverse linee narrative, molti episodi consecutivi della stagione 2 sono ambientati nello stesso momento, per poi tornare ai flashback di Jackie sulla barca, e quindi di nuovo nel presente. La narrazione è dunque più scontata. E nonostante Monáe dimostri ancora una volta di essere una presenza magnetica sullo schermo, il personaggio di Jackie è troppo passivo, soprattutto se confrontato con Heidi o Walter; è un semplice ingranaggio in una macchina, più che il motore che fa procedere l’azione. Quando torna in scena Walter, James rivela ancora la vulnerabilità del suo personaggio, ma resta una figura marginale, ora che è stato privato della relazione al centro della prima stagione. Chris Cooper e Joan Cusack sono eccellenti, in ruoli secondari che però restano troppo poco sviluppati. (La storia non aveva certamente bisogno di altri episodi, ma alcuni dei suoi personaggi forse sì.)

Oltre che di Heidi, si sente la mancanza di Sam Esmail, che aveva diretto tutte le puntate della stagione precedente. Lo showrunner di Mr. Robot è ancora presente come produttore, ma il nuovo regista è Kyle Patrick Alvarez (Effetto Lucifero), e la maggior parte di quello che fa sembra una decorosa ma approssimativa rielaborazione delle intuizioni visive di Esmail, dai lunghi piani sequenza all’uso dello split screen. Esmail, d’altro canto, aveva già ricalcato lo stile e la tecnica dei suoi autori preferiti – da Alfred Hitchcock a Brian De Palma, fino ad Alan J. Pakula –, il che rischia di far apparire alcune scene della seconda stagione come un omaggio dell’omaggio. La firma del regista sembra più dovuta che realmente inventiva.

Il nuovo Homecoming si fa decisamente guardare, ma sembra del tutto inutile. Quando inizia l’episodio finale e vedi che si intitola Ancora, allora tutto torna.

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