His Clancyness - Isolation Culture | Rolling Stone Italia
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His Clancyness – Isolation Culture

Leggi la recensione del disco degli His Clancyness su Rollingstone.it

Esiste tutta una sottorete di gruppi italiani interessantissmi, proprio dietro all’angolo. Di questi mi vengono in mente, almeno per ciò che riguarda una certa scena psych/kraut, i Giobia, Sonic Jesus, New Candys e, soprattutto, His Clancyness. Band solide sia nelle idee che nel genoma, colpevoli (tra virgolette, s’intende) di non seguire il trend del cantautorato indie in italiano, quello con le basi synth pop anni ’80, che onestamente hanno stufato un po’.Al contrario, Jonathan Clancy – già responsabile di esperimenti underground abbondantemente riusciti come A Classic Education e Settlefish – e i suoi ci consegnano una proposta alternativa di mondo. Una realtà parallela e forse utopica, dove i concerti si guardano ancora con le retine e non attraverso lo schermo ultra HD di uno smartphone usato come un periscopio. Isolation Culture è il modo che hanno gli His Clancyness per metterci in guardia da ciò di cui potremmo pentirci in futuro, e lo fanno assemblando con estrema cura nei dettagli un’opera perfetta per perdercisi dentro. La title track vale come esempio perfetto.Mentre Jonathan intona frasi che smuovono la coscienza (siamo tutti colpevoli) come “I told you, I don’t use the phone”, si dipana sotto gli occhi un panorama incredibile, fatto di sezioni di chitarra in stile PiL e archi immensi, che estendono a dismisura l’orizzonte osservabile. Approfittando di una delle questioni più buie della modernità, gli His Clancyness hanno creato uno degli album più luminosi della loro giovane età discografica. La prova tangibile di un talento spaventoso nella scrittura e di un raro gusto negli arrangiamenti, che si parli di kraut, psych, post-punk o di qualsiasi altro genere stia andando perduto a forza di scrollare i newsfeed.

Questa recensione è stata pubblicata su Rolling Stone di ottobre. Potete leggere l'edizione digitale della rivista, basta cliccare sulle icone che trovi qui sotto.
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Esiste tutta una sottorete di gruppi italiani interessantissmi, proprio dietro all’angolo. Di questi mi vengono in mente, almeno per ciò che riguarda una certa scena psych/kraut, i Giobia, Sonic Jesus, New Candys e, soprattutto, His Clancyness. Band solide sia nelle idee che nel genoma, colpevoli (tra virgolette, s’intende) di non seguire il trend del cantautorato indie in italiano, quello con le basi synth pop anni ’80, che onestamente hanno stufato un po’.

Al contrario, Jonathan Clancy – già responsabile di esperimenti underground abbondantemente riusciti come A Classic Education e Settlefish – e i suoi ci consegnano una proposta alternativa di mondo. Una realtà parallela e forse utopica, dove i concerti si guardano ancora con le retine e non attraverso lo schermo ultra HD di uno smartphone usato come un periscopio. Isolation Culture è il modo che hanno gli His Clancyness per metterci in guardia da ciò di cui potremmo pentirci in futuro, e lo fanno assemblando con estrema cura nei dettagli un’opera perfetta per perdercisi dentro. La title track vale come esempio perfetto.

Mentre Jonathan intona frasi che smuovono la coscienza (siamo tutti colpevoli) come “I told you, I don’t use the phone”, si dipana sotto gli occhi un panorama incredibile, fatto di sezioni di chitarra in stile PiL e archi immensi, che estendono a dismisura l’orizzonte osservabile. Approfittando di una delle questioni più buie della modernità, gli His Clancyness hanno creato uno degli album più luminosi della loro giovane età discografica. La prova tangibile di un talento spaventoso nella scrittura e di un raro gusto negli arrangiamenti, che si parli di kraut, psych, post-punk o di qualsiasi altro genere stia andando perduto a forza di scrollare i newsfeed.

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