'God of War', la recensione | Rolling Stone Italia
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‘God of War’, in viaggio con papà

Il semi-dio più brutale dei videogames torna con un nuovo scenario e un figlio da proteggere. E se è vero che la violenza digitale non trasforma in serial killer, può comunque insegnarci qualcosa.

Essere genitori significa anche imparare a controllare le proprie reazioni – non facile, durante le lunghe notti insonni; oppure quando, crescendo, i figli iniziano a provare il gusto della sfida, dello sbattersene dei divieti dei genitori. Anche la più mite delle persone rischia di perdere il senno, di fronte a un piccolo tiranno urlante incapace del minimo compromesso.

Ecco, figurarsi allora se un personaggio che nella storia dei videogames è diventato celebre proprio per la propria incontenibile collera omicida, il semi-dio spartano Kratos, protagonista della serie God of War, può essere plausibile nel ruolo del papà. No, proprio no. Nei precedenti capitoli della serie, Kratos ha attraversato il pantheon della mitologia greca facendo fuori tutti gli dèi e i titani che hanno provato a mettersi sul suo cammino. Addirittura suo papà Zeus. Ora, compiuta la sua terribile vendetta, è uno sterminatore in pensione.

Ma è senz’altro un segno dei tempi e dell’evoluzione dell’industria dei videogames, che anche un simile personaggio schiavo delle proprie pulsioni – a livello di self-control paragonabile a un Trump, o a un Pacciani – nel 2018 sia diventato un grosso papà hipster e bonario, che compie sì atti di violenza, ma lo fa con il cuore pesante. Come un male inevitabile, ma necessario.

In God of War, da intendersi come un reboot della serie, le premesse non potrebbero quindi essere più diverse. Intanto l’ambientazione: fuori la Grecia antica, dentro la mitologia norrena, di recente tornata cool grazie a una serie tv come Vikings. Kratos è invecchiato, e in questo nuovo viaggio ha al suo fianco il figlio Atreus. Ma le terre selvagge della Scandinavia sono piene di pericoli e di esseri mostruosi e ostili, e gli stessi nordici guardano con sospetto questo uccisore di dèi in esilio (comprensibilmente!). Quindi Kratos dovrà insegnare ad Atreus a sopravvivere nel mondo. E, al tempo stesso, il figlio dovrà imparare a fidarsi del padre, anche quando nel corso dell’avventura emergeranno dettagli sul suo terribile passato.

Il piccolo capolavoro di ‘God of War’ è che per ogni azione che facciamo compiere a Kratos, non possiamo fare a meno di sentirci addosso lo sguardo indagatore di Atreus

Qui sta la bellezza e l’importanza del nuovo God of War: come altri grandi videogiochi narrativi di questi ultimi anni (The Last of Us e Uncharted 4) l’esperienza di gioco è anche un’esperienza emotiva tra due personaggi. La relazione tra Kratos e Atreus è intensa, realistica e a tratti persino commovente. Nessuno se l’aspettava. Poi c’è tutto il resto: un gameplay complesso e appagante, che ha nel combattimento e nella sinergia tra Kratos e il figlio i momenti più memorabili; una grafica eccelsa, che dà il meglio soprattutto nella varietà dei nemici e nelle espressioni dei personaggi umani; una regia nuova, che in battaglia passa automaticamente e senza intoppi tra dettagli e campi più lunghi. E per finire una scrittura di grande qualità.

La violenza rimane, ma non è più fine a se stessa. Il piccolo capolavoro di God of War è che per ogni azione che facciamo compiere a Kratos, non possiamo fare a meno di sentirci addosso lo sguardo indagatore di Atreus. Nessuno sano di mente crede che i videogame ispirino atti violenti. Ma una responsabilità verso la raffigurazione della violenza, questa sì, è necessaria. E qui c’è. God of War non inventa niente, ma si è reinventato alla grande. Anche il peggior sbandato può diventare un papà decente, e Kratos ci è riuscito.