Rolling Stones, la recensione di 'Goats Head Soup Deluxe Edition' | Rolling Stone Italia
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‘Goats Head Soup’ fotografa il momento in cui i Rolling Stones sono diventati umani

Nel 1973 l’album di ‘Angie’ suonava come un disco minore come tanti. Oggi è la fotografia dell'epoca in cui Jagger & Richards si sono trasformati da intoccabili divinità del rock a musicisti immalinconiti e vulnerabili

I Rolling Stones ai tempi di 'Goats Head Soup'

Foto press

«Il loro disco migliore dai tempi di Exile on Main St», esclamava nel 1974 un dj lanciando It’s Only Rock ’n Roll. In realtà, nel frattempo i Rolling Stones aveva pubblicato un solo altro disco, ma il sotteso era chiaro: quell’album, vale a dire Goats Head Soup, non era granché. E del resto, poteva mai esserlo un disco degli Stones contenente una ballata radiofonica zuccherosa (Angie) e una canzonetta sull’inferno però stupida (Dancing with Mr. D)? Ascoltato col senno di poi, il disco fotografa un passaggio storico: il momento in cui gli Stones si trasformano da rock band più figa del pianeta a gruppo commerciale.

Di certo Goats Head Soup non suonava e ancora oggi non suona come il disco che ci si aspettava dopo Exile. Jagger aveva 30 anni, Richards li avrebbe compiuti dopo pochi mesi, e questa cosa si sente. Il cantante è malinconico come non mai in 100 Years Ago e Winter (il testo sembra uscito da un disco dei Fairport Convention). La bellezza dissipata degli arrangiamenti s’abbina in modo perfetto alla musica, quasi nota per nota. Richards sembra quasi in coma mentre intona Coming Down Again, un pezzo sulla tossicodipendenza, ma nessun depresso ha mai prodotto un suono altrettanto favoloso.

All’epoca non si pensava che gli Stones fossero dei menasfiga e la cosa deve aver scoraggiato qualche fan. E poi Goats Head Soup ha le sue colpe: Can You Feel the Music è confusa, non sa che cosa vuol essere, e pezzi come Silver Train e Star Star, incentrati rispettivamente su una prostituta e una groupie, sono anemici e per niente lascivi come invece dovrebbero essere.

Dopo dieci anni di registrazioni, tour ed eccessi, gli Stones erano sfiancati, dolenti, immalinconiti, a tratti persino vulnerabili. In altre parole, erano diventati esseri umani e non più divinità rock invincibili. Non è accaduto tanto spesso nella storia degli Stones, il che rende unica l’atmosfera di Goats Head Soup. E non scordiamo che un pezzo come Waiting on a Friend è nato durante le session dell’album.

Come spesso accade, anche l’edizione deluxe di Goats Head Soup contiene pezzi non indimenticabili. I mix alternativi di alcune canzoni non dicono granché di nuovo, ma se non altro la versione strumentale di Dancing with Mr. D permette d’origliare il gruppo mentre si lancia in una jam senza Jagger. La versione alternativa di Doo Doo Doo Doo Doo (Heartbreaker), un pezzo sulla violenza della polizia quanto mai attuale, si apre con una chitarra acustica che dà al pezzo un sapore differente. Ed è bello sentire come Jagger canta “call me lazy bones” nel demo pianistico di 100 Years Ago. E poi c’è Scarlet, che è stata registrata dopo quelle session e suona più incasinata rispetto al resto del disco, forse per via del riff di Jimmy Page che sta sullo sfondo. Gli altri due inediti poi completati Criss Cross e All the Rage non sono esattamente potenti.

Pubblicato come bootleg autorizzato una decina d’anni fa e ripescato per il box set, The Brussels Affair è stato registrato durante il tour autunnale europeo del 1973 che seguì la pubblicazione del disco. I dischi dal vivo post Get Yer Ya-Ya’s Out! sono poco ispirati e inutili, ma questo live spicca per il bel mix che ti porta al centro del palco, con la batteria di Charlie Waits che ti batte sulla testa. Era l’ultimo tour con Mick Taylor e la band era bella carica, sembrava essersi risvegliata dal torpore di Goats Head. Il lavoro di Taylor nella versione elettrica di Angie e in Doo Doo Doo Doo Doo (Heartbreaker) è vulcanico.

E poi la band affronta i vecchi pezzi come se fossero nuovi. Erano ancora in grado di suonare Gimme Shelter in mondo minaccioso e caricare Happy d’un senso di disperazione vero, e come se non bastasse Jagger faceva i cori a Richards, una cosa che è accaduta di raro nei tour successivi. In Street Fighting Man gli Stones suonano talmente combattivi da far deragliare il pezzo nel finale. Sarà anche stato il momento della maturità, ma quanta vitalità avevano i Rolling Stones in quel 1973.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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