Gang Gang Dance, la recensione di 'Kazuashita' | Rolling Stone Italia
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Gang Gang Dance: kitsch, spigolosi e indefinibili

Sembrano i personaggi di un film di Gaspar Noé, ma sono "solo" una grande band, e 'Kazuashita' un album complesso e affascinante

Giuro che ho fatto di tutto per evitare di dire quello che sto per dire, ma non ci riesco: penso che i Gang Gang Dance nel 2011 fossero nel 3011 e che nel 2018 siano nel 2012. È difficile non valutare Kazuashita senza paragonarlo al precedente ed eccellente Eye Contact o alla luce del percorso fatto da questo gruppo nel decennio precedente, né senza tenere in considerazione tutto quello che è successo nell’ambiente durante questi sette anni di loro assenza.

Cosa intendo con “ambiente”? Non lo so, sinceramente. Potremmo parlare di musica sperimentale? Oppure di avanguardia-weird-glitch-psichedelica? Potrei continuare ancora a lungo e occupare tutto lo spazio che rimane nel tentativo di definirli con precisione, cercando di incasellarli da qualche parte. Mi piace pensare semplicemente che siano amabilmente kitsch, spigolosi e divisivi più del giochino virale di Yanni o Laurel e si potrebbe discutere per ore tra chi sente soltanto una vocetta fastidiosa e chi ci vede un ologramma sensuale, senza venirne mai a capo.

Mi ricordano i film diretti da Gaspar Noé, incredibilmente affettati e “difettosi” che però a me piacciono tanto, così come mi piacciono i Gang Gang Dance, per questo credo che, nonostante non sia sorprendente, Kazuashita sia un buon disco. Perché alla fine il 2012 è stato fico, dai.

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