Gaika - Spaghetto EP | Rolling Stone Italia
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Gaika – Spaghetto EP

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Quanto si è sgretolata in pochi anni l’immagine utopica che avevamo di Londra? La favola della città-esempio del nuovo millennio è andata inesorabilmente a farsi benedire, lasciando di sé solo uno spettro sbiadito, ridotto a brandelli da tensioni razziali sempre più forti, gentrificazione ed errori colossali come la Brexit. “This is my city and these are my streets / In a state of emergency” In tutto questo, Gaika ha voluto dire la sua, a suo modo. Potendo contare su un arsenale di armi grime, dancehall, hip hop e persino R&B, l’artista nato e cresciuto fra i mattoni rossi di Brixton ha fatto il suo esordio su Warp con un EP spaventoso sotto ogni punto di vista, Spaghetto. “But I'm 3D, knee deep in the concrete / So me haffa make this song weep” rima con qualche accenno di patois giamaicano nel primo singolo, 3D, una minacciosa lama dancehall estratta dal giubbotto e mostrata a chiunque creda ingenuamente che le persone siano ormai innocui post bidimensionali. Incasellati uno sopra l’altro sui Social. Siamo prima di tutto corpi e possiamo opporci fisicamente a ciò che riteniamo sbagliato, con i piedi piantati nel cemento fino alle ginocchia. Ma Spaghetto non è solo questo.Come tutti, anche Gaika vive ogni giorno la contraddizione della condizione umana in un mondo sempre più disumano, schiavo dei soldi e di un sistema capitalistico che nega non solo un reale progresso tecnologico ma che sta conducendo l’intero pianeta verso un futuro catastrofico. Immerso nell’oscurità metà goth e metà dub di Neophyte il ragazzo si sorprende a ripetere ossessivamente “We're insecure in this image of God”. Questo, appena dopo che la sua spalla vocale nel brano, Leila Adu, esordisce con un “Feelin' so raw / Livin' in these times” con sopra dei riverberi da canti gregoriani.Da tempo fra i puristi della vecchia guardia aleggia il malumore secondo cui la Warp non è più la stessa di una volta, la prestigiosa label degli strumentali IDM e techno degli LFO o di Aphex Twin. La discussione è tornata attuale in questi giorni dopo la firma di Lorenzo Senni per la storica etichetta di Sheffield. La verità è che Warp da sempre racconta con orecchio critico la realtà che ci circonda. Forse il reggaeton destrutturato di Little Bits vent’anni fa non sarebbe mai finito sull’etichetta. Ma erano altri tempi, con altre urgenze. Insomma, non c’è nulla di male a strappare un bel po’ di fan ai Major Lazer per riconvertirli a qualcosa di più nobile e soprattutto conscio della realtà che lo circonda.

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Quanto si è sgretolata in pochi anni l’immagine utopica che avevamo di Londra? La favola della città-esempio del nuovo millennio è andata inesorabilmente a farsi benedire, lasciando di sé solo uno spettro sbiadito, ridotto a brandelli da tensioni razziali sempre più forti, gentrificazione ed errori colossali come la Brexit. “This is my city and these are my streets / In a state of emergency” In tutto questo, Gaika ha voluto dire la sua, a suo modo. Potendo contare su un arsenale di armi grime, dancehall, hip hop e persino R&B, l’artista nato e cresciuto fra i mattoni rossi di Brixton ha fatto il suo esordio su Warp con un EP spaventoso sotto ogni punto di vista, Spaghetto. “But I’m 3D, knee deep in the concrete / So me haffa make this song weep” rima con qualche accenno di patois giamaicano nel primo singolo, 3D, una minacciosa lama dancehall estratta dal giubbotto e mostrata a chiunque creda ingenuamente che le persone siano ormai innocui post bidimensionali. Incasellati uno sopra l’altro sui Social. Siamo prima di tutto corpi e possiamo opporci fisicamente a ciò che riteniamo sbagliato, con i piedi piantati nel cemento fino alle ginocchia. Ma Spaghetto non è solo questo.

Come tutti, anche Gaika vive ogni giorno la contraddizione della condizione umana in un mondo sempre più disumano, schiavo dei soldi e di un sistema capitalistico che nega non solo un reale progresso tecnologico ma che sta conducendo l’intero pianeta verso un futuro catastrofico. Immerso nell’oscurità metà goth e metà dub di Neophyte il ragazzo si sorprende a ripetere ossessivamente “We’re insecure in this image of God”. Questo, appena dopo che la sua spalla vocale nel brano, Leila Adu, esordisce con un “Feelin’ so raw / Livin’ in these times” con sopra dei riverberi da canti gregoriani.

Da tempo fra i puristi della vecchia guardia aleggia il malumore secondo cui la Warp non è più la stessa di una volta, la prestigiosa label degli strumentali IDM e techno degli LFO o di Aphex Twin. La discussione è tornata attuale in questi giorni dopo la firma di Lorenzo Senni per la storica etichetta di Sheffield. La verità è che Warp da sempre racconta con orecchio critico la realtà che ci circonda. Forse il reggaeton destrutturato di Little Bits vent’anni fa non sarebbe mai finito sull’etichetta. Ma erano altri tempi, con altre urgenze. Insomma, non c’è nulla di male a strappare un bel po’ di fan ai Major Lazer per riconvertirli a qualcosa di più nobile e soprattutto conscio della realtà che lo circonda.

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