Florence + the Machine, la recensione di 'High as Hope' | Rolling Stone Italia
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Florence + the Machine, ‘High as Hope’ e l’arte di confidare un segreto

Adesso che Florence suona negli stadi, la sua sfida è mantenere lo stile da ragazza della porta accanto. Lo fa con un disco splendente, quasi un diario in musica

Florence Welch è la sorella maggiore che vorresti: abbastanza ribelle da essere una cospiratrice, abbastanza rigida da essere un’ispiratrice, un modello da seguire. Su High as Hope, il più intimo album di Florence + the Machine, scrive del suo momento MDMA, dei suoi problemi alimentari e chiede scusa per aver rovinato il tuo compleanno. O quello di un altro, comunque.

In ogni caso, la perdonerete tutti. Perché lei è Flo, no? Nel disco è palpabile la sua voglia di confidarsi. Nello spirito di Kate Bush, gli Hounds of Love sono evidentemente partiti alla caccia. Il disco è lo show di Flo, le tracce sono costruite sulla sua voce, cruda, che si avventura in ogni direzione. È una scelta ripetitiva, ma funziona.

Florence Welch, foto Tom Beard

Adesso che Florence riempie gli stadi, la sua sfida è quella di mantenere il suo stile da ragazza della porta accanto. Lo fa in Patricia, un’ode a Patti Smith su una base Motown; The End of Love, un appunto musicale sulla scrittura delle canzoni in un’estate a New York e South London Flower, dove trova spazio anche il ritovo LGBTQ di Londra, The Joiners Arms. È arte, presentata come una condivisione di segreti, un approccio che c’è nel finale di High as Hope, No Choir, una canzone senza ritornello.

È semplicemente Florence che sussurra, “Ti ho portato qui, per nasconderti da una paura senza nome”. Proprio quello che fa nel suo tour, nascondendosi alla luce del sole.

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