Fatima Al Qadiri – Brute | Rolling Stone Italia
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Fatima Al Qadiri – Brute

Leggi la recensione di Fatima Al Qadiri su RollingStone.it

Attualmente la figura di Fatima Al Qadiri si trova al centro di un dibattito accesissimo fra musicologi o sedicenti tali. Lei, classe ’81 nata in Senegal, vissuta in Kuwait e trapiantata negli States, fa parecchio gola agli accelerazionisti perché si serve di un’estetica fredda e volutamente cheap nei suoni per trattare di temi orwelliani come post-globalizzazione, autorità, controllo sui cittadini. Per intenderci, il secondo Brute, sempre sulla Hyperdub di Kode9, in copertina sfoggia un Teletubbie in vestito anti sommossa, con un paio di occhioni dolci pronti a sferrarti una manganellata sull’omero appena abbassi la guardia. Ok, ma alla fine come suona questo album? Non facile, innanzitutto, perché si fregia pur sempre dell’etichetta “sperimentale”.La prima traccia, Endzone, si apre con spari e sbirri che al megafono intimano alla folla di disperdersi. Sotto invece, come nel resto dell’album, i droni ti torturano le budella come le armi sonore usate dalla polizia di Tokio. Unico rimpianto: la penuria di percussioni che uno di solito non associa al nome di Hyperdub.ibs_button

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Attualmente la figura di Fatima Al Qadiri si trova al centro di un dibattito accesissimo fra musicologi o sedicenti tali. Lei, classe ’81 nata in Senegal, vissuta in Kuwait e trapiantata negli States, fa parecchio gola agli accelerazionisti perché si serve di un’estetica fredda e volutamente cheap nei suoni per trattare di temi orwelliani come post-globalizzazione, autorità, controllo sui cittadini. Per intenderci, il secondo Brute, sempre sulla Hyperdub di Kode9, in copertina sfoggia un Teletubbie in vestito anti sommossa, con un paio di occhioni dolci pronti a sferrarti una manganellata sull’omero appena abbassi la guardia. Ok, ma alla fine come suona questo album? Non facile, innanzitutto, perché si fregia pur sempre dell’etichetta “sperimentale”.

La prima traccia, Endzone, si apre con spari e sbirri che al megafono intimano alla folla di disperdersi. Sotto invece, come nel resto dell’album, i droni ti torturano le budella come le armi sonore usate dalla polizia di Tokio. Unico rimpianto: la penuria di percussioni che uno di solito non associa al nome di Hyperdub.

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