È un peccato che il nuovo film di Will Smith, Emancipation – Oltre la libertà (disponibile su Apple TV+), passi per il suo primo film dopo “Lo Schiaffo”, perché non ha senso vederlo e giudicarlo in quell’ottica. Questo non è il film storico fatto per ripulirsi la coscienza e per far dimenticare al pubblico i misfatti passati, così da consentire al divo una trionfale rentrée (di cui, in ogni caso, ha un grande bisogno). Ma non è nemmeno sbagliato pensare che il film sia esattamente questo. Perché parla di schiavismo. Di più: è un film molto liberamente ispirato alla storia di uno schiavo di nome Gordon, soggetto di alcune delle immagini più crude e tristemente note di quell’epoca, in cui è stato ribattezzato “Peter il fustigato”. La fotografia mostra Gordon seduto con il viso di profilo e la schiena ricoperta di decine di cicatrici provocate dai colpi di frusta ricevuti. Lo scatto aveva intenti cinici, ma fu poi impugnato dagli abolizionisti come strumento di sensibilizzazione. Chiunque l’abbia visto sa perché. Per quanto moltissimi film sullo schiavismo ci abbiano mostrato scene crudissime, in cui non venivano risparmiate le frustate più efferate, nessuna immagine è stata mai più forte di questa.
Ma come si possa passare da questa immagine a un action thriller di Antoine Fuqua con protagonista Will Smith è un mistero, e anche un problema che Emancipation non sa sempre tenere a bada. Il film – qualunque cosa vi dica la campagna promozionale – è solo un film. Ed è un film in perfetto stile Fuqua, cioè un prodotto di puro intrattenimento con protagonista una delle più celebri star contemporanee, un uomo che cattura in ogni caso la nostra attenzione, mentre affronta tutte le avversità che il destino gli pone di fronte e monologa con la mascella serrata.
Il titolo è, forse senza volerlo, un po’ ironico. All’inizio, Peter (come viene tradizionalmente chiamato il “personaggio” dell’immagine che ritrae il vero Gordon) sente dire che Lincoln vuole liberare gli schiavi, ma al tempo stesso capisce che la fine della sua prigionia non è destinata ad avvenire tanto presto. Lui e i suoi compagni devono fuggire, anche se alla fine non è previsto un vero e proprio ritorno a casa: non c’è letteralmente nessuna casa in cui tornare, nessuna reale liberazione, e di sicuro nessuna aspettativa di una vita priva di violenza e soprusi.
Scappi dall’essere proprietà di qualcuno solo per essere considerato dal governo “merce di contrabbando”. Chiedi di poter vedere la tua famiglia e ti senti dire che devi invece dare la tua vita alla nazione, andando a combattere in guerra per garantire quella libertà di cui tu non hai mai goduto. Quando facciamo la sua conoscenza, Peter è già stato separato dalla sua famiglia. È stato venduto a una piantagione ancora più violenta, di quelle in cui è facile vedere corpi di schiavi che si sono impiccati penzolare dagli alberi nella calura estiva.
Quanto dunque sente che il programma di Lincoln è quello di liberare tutti gli schiavi, Peter e alcuni suoi compagni organizzano un piano per evadere dalla tenuta di Baton Rouge, Louisiana, in cui vivono per cercare la protezione dell’esercito dell’Unione. Il film comincia con una minuziosa descrizione del loro lavoro e con la loro lotta non solo contro l’uomo che li tiene in schiavitù (interpretato da Ben Foster), ma anche contro gli elementi naturali. Will Smith combatte contro un alligatore, uccide serpenti velenosi, fa fuori i ratti che stazionano attorno ai cadaveri dei soldati morti in guerra, che è lo sfondo del film.
È un action movie perché capiamo molto presto che non c’è nulla che Peter non sia in grado di fare. E nulla che davvero lo metta in crisi. Quando un uomo bianco cerca di rimetterlo al suo posto, lui risponde con grande audacia (e con quell’espressione strafottente che abbiamo visto molte volte sul volto di Smith). Se Emancipation vuole far passare un messaggio politico, sta nel proporre un tipo di eroismo che riesce a sfidare la Storia: un uomo nero realmente esistito può fare e ottenere tutto; anche se viene lanciato in un torrente in pessime condizioni di salute, riuscirà a sopravvivere. È quel tipo di materiale che si adatta benissimo a Smith, e anche a Fuqua. In un film sullo schiavismo, è consentito mostrare anche la violenza più brutale. Per questo Emancipation sembra uno spudorato B-movie: si vede tutto il gusto per una violenza quasi sensazionalistica e, si potrebbe pensare, persino immorale.
Il che non sarebbe per forza di cose un difetto. Quando Emancipation funziona, funziona davvero. Ci sono delle immagini bellissime (merito del direttore della fotografia Robert Richardson): scene notturne illuminate dalla luce del fuoco e in cui compaiono sagome che sembrano prese dalle pagine di un libro di Kara Walker. Smith è affiancato da un ottimo cast, che mette le giuste sfumature in tutti i dialoghi. Quando comincia la fuga di Peter, il film si trasforma però in una sorta di war movie, con inquadrature di sbudellamenti e pallottole che finiscono dritte nella pelle dei soldati neri – ovviamente ex schiavi.
Ma se nel complesso non funziona, è perché sembra non aver fatto del tutto i conti con le intenzioni alla base. La sete che ha Emancipation per l’azione e l’intrattenimento stride con il messaggio che ci si aspetta da un’opera come questa. Il regista e i produttori volevano davvero che questo fosse “solo” un action movie? Se non ci fosse dietro Apple, sembrerebbe uno di quei titoli che trovi facendo zapping su TBS (una rete televisiva americana decisamente generalista, ndt).
Ma invece la prima proiezione del film è stata per il Congressional Black Caucus (l’associazione dei deputati afroamericani, ndt) e varie associazioni e gruppi di militanza. Uno dei produttori, Joey McFarland, si è presentato alla prima con la foto di “Peter il fustigato”, dicendo che l’aveva comprata “per la sua collezione” ma sollevando le critiche per l’utilizzo di “reliquie” del periodo dello schiavismo da parte degli americani bianchi. Emancipation può essere storicamente e moralmente equivoco, ma forse vuole solo essere un prodotto di intrattenimento. Puro eroismo hollywoodiano. Invece di parlare dello “Schiaffo”, parliamo di questo. Nel bene e nel male.