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Elvis Costello – Musica infedele e inchiostro simpatico

Un'opera monumentale piena di ricordi d’infanzia di Costello, racconti da rockstar, aneddoti, digressioni. Leggi la recensione su RollingStone.it
4 / 5

Il terzo capitolo della poderosa autobiografia di Elvis Costello si intitola “Don’t Start Me Talking”, dal primo verso del celebre brano di Costello & The Attractions, Oliver’s Army, pubblicato nel 1979. “Non fatemi iniziare a parlare” è una frase che costantemente riecheggia nelle orecchie del lettore, durante le 864 pagine di questo tomo firmato dal cantautore inglese, nato a Londra nel 1954 sotto il nome di Declan Patrick MacManus. Qualcuno deve averlo fatto iniziare, questo è sicuro: peccato che poi non si sia trovato un editor con il polso necessario per fermarlo, o quantomeno arginarlo un po’. Alle prese a sua volta con la propria storia, Morrissey e il suo ego erano riusciti a fermarsi a sole 480 pagine (in seguito, però, Moz ha potuto togliersi lo sfizio residuo con un romanzetto assurdo e quasi illeggibile, List of the Lost, ma è un altro discorso).

Uno potrebbe sentirsi giustificato nel sospettare che un autore letterato come Costello si sia ispirato alla saga di romanzi autobiografici del norvegese Karl Ove Knausgård, Min kamp (La mia battaglia), 3600 pagine divise in sei volumi – in Italia sono apparsi i primi tre, pubblicati da Feltrinelli. Non tanto per il flusso abbondantissimo costituito dalle sue parole, ma per la pretesa di Costello di saltabeccare di ricordo in ricordo, abbandonandosi a lunghe digressioni che, nell’economia del racconto, non sempre sembrano essenziali. Ma dove Knausgård è al suo meglio, ovvero nell’apparente semplicità con cui conduce il lettore attraverso deviazioni dal discorso principale che durano anche 200 pagine, Costello fatica, spesso, a tenere vivo l’interesse dei suoi interlocutori. Quelli non realmente motivati, perlomeno. Ma se fan appassionati e un po’ precisetti esistono, sono proprio quelli di Elvis Costello, quindi sulla legittimità di un libro del genere nessuno ha dubbi. Il problema sono tutti gli altri lettori.

È lo stesso Costello, del resto, a non avere alcun interesse ad andare per ordine: una progressione cronologica lineare qui non c’è. Prima del sesto capitolo, per esempio, il musicista non è ancora nemmeno nato: ma ha già avuto modo di raccontare questo episodio molto divertente, che testimonia come, nel 1978, la pratica dello stage diving fosse ancora piuttosto oscura: “[…] un sacco di gente aveva letto che Iggy Pop lo faceva, e voleva provare a imitarlo. Vidi anche Joe Strummer provarci al Lyceum Ballroom. In quel caso il pubblico si aprì come fosse il Mar Rosso, lasciando che il nostro eroe andasse a schiantarsi sul pavimento di cemento”.
Come succede spesso per questo genere di memoir, è la parte che va dall’infanzia al momento appena prima del successo a costituire il materiale più interessante, quello più ricco di rivelazioni preziose. Certo, anche qui Costello ha la tendenza a prenderla un po’ larga: il segmento di storia umana direttamente influenzato dall’arrivo di questo cantautore inizia nell’Ottocento. Ma non è possibile comprendere davvero Costello senza conoscere il rapporto ambiguo, quasi uno sdoppiamento, con suo padre, Ross MacManus, anche lui musicista: dall’assunzione dello stesso nome d’arte, Costello, all’aspetto (il volume è corredato da numerose foto, e la somiglianza tra Declan e Ross è impressionante), al look: “Mio padre aveva un completo scuro per le matinée, e uno da sera quando l’occasione lo richiedeva. L’idea che bisognasse vestirsi eleganti per andare al lavoro si è talmente radicata in me che, ancora oggi, la temperatura deve alzarsi ben oltre i 38 gradi prima che io mi tolga la giacca”.

Passaggi come quelli citati, disseminati per tutto il libro, dimostrano che Costello è sempre in grado di dare la sveglia ai lettori, quando gli pare. È forse un’esperienza simile al vederlo dal vivo, rispetto a quella di ascoltare i dischi della seconda parte della sua carriera: il ragazzo ex programmatore di computer, con una vera attitudine punk a scapito dei suoi occhiali di corno perennemente fuori dal tempo, in potenza non se n’è mai andato, al netto della sua ammissione nella Hall of Fame, delle sue collaborazioni obbligate e dei cappelli di paglia. Costello è sempre stato un artista difficile da seguire, nelle sue continue deviazioni tangenziali a ogni tappa di carriera. Rispetto alla sua musica, però, l’impegno nell’ascoltare di solito è ripagato. Nella lettura, i dubbi restano. E quindi? Sarebbe un’ottima idea editoriale quella di proporre, per questo libro, un’edizione paperback ridotta: condensato a 300 pagine Musica infedele… sarebbe una bomba, e non sfigurerebbe accanto a opere come Just Kids di Patti Smith o, per cambiare ambito, Open di André Agassi. In attesa che qualcuno riesca a convincere il suo generoso autore a farlo, beccatevi questo.

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