Elton John, la recensione di 'Jewel Box' | Rolling Stone Italia
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Elton John ha riscritto la sua storia

Le 148 canzoni di ‘Jewel Box’ mostrano il lato meno appariscente del musicista: non l’hitmaker, ma l’artigiano che impara il mestiere e un passo alla volta diventa un gigante della canzone pop

Elton John nel 1973 circa

Foto di Terry O'Neill

Elton John ha il suo Smile? La risposta è contenuta in Jewel Box, il gigantesco box set che il musicista ha appena pubblicato. La storia è questa. Anni dopo il tentativo di Brian Wilson di completare il suo disco-capolavoro coi Beach Boys, Smile appunto, Elton John cominciava la carriera discografica prendendo in considerazione l’idea di fare album psichedelico dotato di un titolo degno di Spinal Tap, ovvero Regimental Sgt. Zippo.

La lavorazione del disco è effettivamente iniziata nel 1968, ma non è stata mai portata a termine, informano le note di copertina del Jewel Box. Sul contenuto del disco fantasma si possono fare solo congetture, ma questa nuova super collezione offre un indizio di come Elton John avrebbe potuto presentarsi al pubblico. Non fatevi ingannare dalla title track, le canzoni non sono calchi dei Beatles. Anzi, anticipano tanta musica che sarebbe arrivata in seguito. La malinconia uggiosa di Tartan Coloured Lady rimanda ai primi, strepitosi album dell’artista inglese, la ballatona Turn to Me somiglia alle canzoni cinematografiche che verranno, la vivace When I Was Tealby Abbey anticipa i pezzi rock che Elton John avrebbe prodotto in seguito con una facilità sorprendente.

Pur non essendo il primo box set retrospettivo di John – c’è già stato To Be Continued… che è ora fuori catalogo – Jewel Box è tutta un’altra cosa. I suoi otto CD contengono parecchio materiale mai sentito prima, come i pezzi di Zippo, ma anche canzoni già edite in una forma o nell’altra, all’interno degli album e nei singoli. Diciamo che con Jewel Box Elton John non ha svuotato i cassetti. Ha svuotato tutta la casa.

I pezzi migliori sono quelli risalenti agli anni precedenti la fama, i tardi anni ’60. Coprono tre dischi. All’epoca John era una specie di scienziato pazzo del pop e una spugna pronta ad assorbire tutto quel che sentiva in radio. Passava da uno stile all’altro per vedere quale gli si addicesse di più. Il numero di pezzi creati e poi scartati – qui ce ne sono più di 50 – è stupefacente, ma lo è anche la loro qualità. Non troverete le registrazioni casalinghe tipiche di questo tipo di box set, ma incisioni effettuate in studio con altri musicisti e in alcuni casi con una sezione d’archi.

E quanta meravigliosa varietà c’è qua dentro. I primi due singoli Come Back Baby e Mr. Frantic sono esempi di pop esuberante tipico della Swinging London, Two of a Kind ha qualcosa dei Four Seasons, Taking the Sun From My Eyes ricorda l’eleganza pop di Burt Bacharach. Ad ascoltare una dopo l’altra queste canzoni si capisce che John è sempre stato dotato di un gran talento melodico. È incredibile che alcuni di questi pezzi, i migliori come Sing Me No Sad Songs e Velvet Fountain, siano stati messi da parte. Significa che in quel primo periodo della sua carriera la creatività di John era a livelli altissimi. Poteva permettersi di scartare una dozzina di canzoni sapendo che ne avrebbe scritte altrettante di lì a poco.

Poi le hit sono arrivate, eccome, per interi decenni e con poche pause, e hanno messo in ombra le altre canzoni contenute negli album – pensate alle tante antologie di successi pubblicate e allo show a Las Vegas basato sui pezzi famosi. Due dischi del Jewel Box sono quindi dedicati al materiale che è stato sì pubblicato, ma poi dimenticato. Sono i pezzi preferiti dall’artista, la sua playlist fantasma, diciamo. E vale davvero la pena recuperare cose come Ticking, Where to Now St Peter o l’elegante Blues for Baby and Me, che nelle note di copertina John descrive come «la sorellastra stramba di Tiny Dancer».

Altre scelte sono però discutibili. Per dirne una, davvero lo shuffle banale Boogie Pilgrim è meglio di altri pezzi di Blue Moves come il rock in stile L.A. Cage the Songbird? C’è qualcosa che non torna in questo box set. Questi cofanetti sono per loro natura indirizzati ai fan accaniti, ma c’è qualcuno al mondo che ha voglia di sentire ben due CD contenenti i lati B di tutti i singoli pubblicati dal 1976 in poi? Alcuni sono buoni tanto quanto se non più dei lati A. È il caso di Did Anybody Sleep with Joan of Arc del 2001 che si rifà all’epoca di Madman Across the Water. E vale la pena ascoltare strumentali come Choc Ice Goes Mental, che è volutamente irritante. Ma altri pezzi, come l’omaggio ai Beach Boys Take Me Down to the Ocean sono rovinati da una produzione datata. Se sono stati relegati ai lati B un motivo c’è.

In quanto indagine psicologica, Jewel Box è un oggetto affascinante. È Elton John che immagina un universo parallelo in cui il suo pezzo rock più amato non è The Bitch Is Back, ma (Gotta Get a) Meal Ticket e dove I Think I’m Going to Kill Myself è più apprezzata dal pubblico di Crocodile Rock. E nel CD che contiene i suoi pezzi preferiti, le sue hit alternative, c’è All the Nasties che parla della paura di fare coming out all’inizio degli anni ’70. Questa seduta dallo psicologo, completa di ricco libretto con testi autografi, pubblicità d’epoca, copertine dei singoli e quant’altro, vi costerà suppergiù 80 euro. Ma lo avrete capito dai suoi vestiti di scena e dalla quantità pazzesca di musica che ha pubblicato nell’arco di mezzo secolo: a Elton John gli eccessi non fanno paura.

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