Paris Jackson, la recensione di 'Wilted' | Rolling Stone Italia
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E allora com’è il disco della figlia di Michael Jackson?

‘Wilted’ non ha nulla a che vedere con la musica del padre. A Paris Jackson piacciono di più i musicisti della Manchester Orchestra (qui co-autori e produttori) e forse la Taylor Swift di ‘Foklore’

Paris Jackson

Foto: Janell Shirtcliff

Paris Jackson ha passato buona parte della sua vita lontana dagli sguardi della gente. Fino a quando aveva 11 anni è stato il padre Michael Jackson a proteggere lei e i suoi fratelli mascherandone il viso quando si trovavano per strada. Dopo la morte del re del pop, la ragazza è stata catapultata all’improvviso nella vita pubblica, arrivando persino a farsi intervistare da Oprah in tv nel 2010. Mettiamola così: a 22 anni, Jackson ne ha passate di tutti i colori.

A dispetto del trambusto in cui è cresciuta, Paris Jackson ha fatto un disco di debutto decisamente soft. Non che le canzoni siano solari, ma in Wilted non c’è traccia di tragedia, né di disperazione. C’è piuttosto un senso di malinconia accogliente e assorta.

Della musica del padre non c’è traccia. Non c’è nemmeno un’eco lontana del suo falsetto o dei suoi caratteristici gridolini. L’avesse pubblicato con un altro nome o come parte di un gruppo – è quel che ha fatto con l’EP di Soundflowers uscito quest’anno – a nessuno sarebbe venuto in mente di tirare in ballo Michael Jackson.

Al posto di proporsi come cantante dance-pop o R&B, Paris Jackson ha scelto di collaborare con Andy Hull e Robert McDowell della Manchester Orchestra che le prestano il sound indie rock del loro gruppo che ha base ad Atlanta. Hull è co-autore di buona parte dei pezzi ed è responsabile della produzione piena di eco e di chitarre elettriche il cui suono sembra riverberarsi all’infinito.

Il problema sono i testi. Jackson usa luoghi comuni in passaggi come “Lascia il mio corpo o prenditi l’anima” oppure esagera come fa in “Ho tagliato le palpebre / Così non posso vederti galleggiare fuori dalla porta / Mi sono bruciata la lingua / Perché non voglio più assaggiarti” o in “Il mio cuore non è una cosa che puoi amputare”.

Ma alla fine sono difetti minori dell’indie pop ben prodotto e sognante di Jackson. È musica che gli algoritmi potrebbero consigliare a chi ascolta Clairo o i Coldplay, certamente a chi ama la Manchester Orchestra. Un paio di melodie restano appiccicate in testa, ma non è detto che vi ricordiate dove le avete sentite.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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