‘Don’t Worry’, la recensione | Rolling Stone Italia
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‘Don’t Worry’: tragedie, trionfi e cartoon

Joaquin Phoenix e il regista Gus Van Sant trasformano il biopic sul fumettista tetraplegico John Callahan in un’opera dalla grande tenerezza, lontana dalla Hoollywood più smielata

A un primo sguardo sembra una di quelle storie vere strappalacrime, quei trionfi-contro-ogni-avversità che Hollywood sbatte in faccia al pubblico con frequenza anestetizzante; per fortuna Don’t Worry arriva al ciglio del burrone dei sentimenti ma riesce a non precipitare. Basato sulla biografia del 1989 di John Callahan, fumettista di Portland, Oregon, il film ripercorre cosa è successo alla sua vita quando il suo fare da dongiovanni festaiolo lo ha intrappolato, dopo un brutto incidente in macchina causato dall’alcool, su una sedia a rotelle, paralizzato.

Il viaggio di Callahan dalla disperazione più profonda al successo come fumettista satirico segue le solite tappe, sedute di fisioterapia e riunioni degli alcolisti anonimi comprese, ma Joaquin Phoenix e il regista Gus Van Sant si superano grazie all’umorismo selvaggio e al dolore livido che colorano il film. Quello di Phoenix è uno di quei ruoli a cui aspirano tutte le star in cerca di un Oscar. Per fortuna, ad arrivare primo nella corsa è stato un vero attore. E Van Sant, di nuovo al lavoro con la star dopo il 1995, si rialza con grazia dopo una tripletta di recenti passi falsi. Don’t Worry è più vicino a Will Hunting – Genio Ribelle che, per dire, alla sperimentazione di Elephant. L’attenzione ai dettagli che ha sempre definito i suoi personaggi, poi, non è mai stata così a fuoco.

Callahan, morto a 59 anni nel 2010, beveva regolarmente sin da quando era adolescente, e all’epoca dell’incidente aveva solo 21 anni. Alla guida c’era il suo compagno di sventure (Jack Black), e insieme sono andata sbattere su un lampione. L’amico ne uscirà senza un graffio, e per riuscire ad accettarlo a Callahan dovrà sottoporsi ad anni di psicanalisi. Ma guidato da Donnie (Jonah Hill), il suo sponsor-zen degli Alcolisti Anonimi, il nostro antieroe trova un modo per riprendersi. Vale la pena spendere due parole per Hill: il suo personaggio, figura paterna rappresentata da un gay barbuto sempre infilato in un caftan, è interpretato con meravigliosa semplicità. Forse è il momento per premiare il suo talento con una terza nomination, dopo Moneyball e The Wolf of Wall Street? Il suo hippie gentile coordina gli incontri casalinghi dei cosiddetti “maialini”, un gruppo di personaggi interpretati, tra gli altri, da Udo Kier e dalle musiciste Kim Gordon e Beth Ditto.

All’inizio la terapia è una tortura, e Callahan affoga in un mare di autocommiserazione, lo vediamo solo nel suo appartamento, incapace di raggiungere una bottiglia di vodka incastrata sotto il divano. E aspettate di vederlo impegnato in una guerriglia su sedie a rotelle, e poi di nuovo in ospedale. È qui che incontra la tenerezza di Annu (Rooney Mara), una volontaria svedese con cui sperimenta tecniche sensuali per raggiungere di nuovo l’erezione. Van Sant ha girato quelle scene con spirito libero e selvaggio, e guardarle fa sussultare sulla sedia. Allo stesso tempo, però, fa sì che tutti i personaggi, dai membri degli AA fino al suo vecchio compagno di bevute, non perdano mai la loro umanità. Uno dei punti più alti del film è la scena in cui Callahan visita Dexter per perdonarlo. Non lasciatevi sfuggire Jack Black, quello che riesce a fare nel momento della riconciliazione vi lascerà a bocca aperta.

Joaquin Phoenix e Jonah Hill

Ma è in Callahan, e nella sua scoperta della satira come valvola di sfogo della sua rabbia, che il film trova la sua cassa di risonanza. (Il titolo originale, Don’t Worry He Won’t Get Far on Foot, è ispirato a uno dei suoi bozzetti: la frase è detta da un cowboy mentre osserva una sedia a rotelle ribaltata). Con la sua matita ci ha regalato arte cruda nella tecnica ma potente negli effetti, a metà strada tra William Steig e Charles Addams. Le sue opere, pubblicate nel giornale dell’Oregon Willamette Week, scatenavano nel pubblico reazioni di amore-odio a causa dello stile politicamente scorretto, e Phoenix è perfetto nel mostrarci la gioia dell’artista mentre affronta i suoi critici. Callahan, una volta, ha detto: «So di essere andato troppo oltre solo quando leggo le lamentele di chi è su una sedie a rotelle, o da chi ha uncini al posto delle mani». Van Sant ha preso quei fumetti e li ha fatti ballare al ritmo della colonna sonora di Danny Elfman – ed è questa giocosità infantile che salva il film dalle trappole della sua formula.

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