'Disincanto' è per il fantasy quello che 'Futurama' era per la fantascienza | Rolling Stone Italia
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‘Disincanto’ è per il fantasy quello che ‘Futurama’ era per la fantascienza

La nuova serie di Matt Groening è intelligente e visivamente fighissima, il progetto più ambizioso del creatore dei 'Simpson'. Ma sembra ancora un work-in-progress.

Disincanto, la nuova parodia fantasy animata del creatore dei Simpson Matt Groening per Netflix, usa lo stesso stile che è stato il marchio di fabbrica del fumettista per tutta la sua carriera. Il dolce, sfortunato Elfo (Nat Faxon) non sembra troppo lontano dagli amati Happy Little Elves di Lisa e Maggie; un odioso principe viene trasformato in un suino che potrebbe passare per lo Spider-Pork che aveva rubato la scena nel film dei Simpson. Ma se le figure e l’architettura sembrano familiari – il castello di Dreamland, dove vive la principessa ribelle Bean (Abbi Jacobson), ricorda il Futurama’s Planet Express building – lo stile visivo dello spettacolo nel suo insieme è più avventuroso ed eccitante di quello che ci aspettavamo anche dall’incarnazione HD degli omini gialli.

Sullo sfondo, naturalmente, ci sono molte battute (Bean visita il Little Seizures Poison Shop, il cui slogan è “Poison! Poison!”), ma la parte visuale è molto più profonda di quello in senso letterale. I paesaggi sono più lussureggianti, le scene d’azione (ce ne sono molte, visto che Bean e gli amici vanno incontro a un mucchio di problemi che coinvolgono streghe, orde di barbari, mostri e molto altro) sono coreografate quanto ridicole.

È uno spettacolo visivamente splendido e anche intelligente. Groening e i suoi collaboratori (incluso l’ex showrunner dei Simpson Josh Weinstein, che ha contribuito a sviluppare l’idea in una serie) hanno riflettuto molto sul modo in cui il loro strano mondo riflette il nostro (entrando in una foresta incantata, i nostri eroi sono accolti da un segnale che dice “Attenzione all’antilope razzista”). E hanno chiaramente delineato come funzionano le sue tante regole – o no. (“Mi dispiace, ma le cose diventano confuse in un mondo con magie e maledizioni occasionali”, ammette un personaggio).

Ma è proprio nel burrone che separa il divertente/intelligente dal divertente/hahaha che Disincanto tende a perdere la bussola, soprattutto grazie al relativo spessore dei tre protagonisti. Tutti indossano comodamente gli archetipi alla Futurama: Elfo (che abbandona una pacifica vita di canzoni e caramelle per esplorare il resto del mondo) è ingenuo come Fry; Bean (che invece di sposarsi vuole sbronzarsi, fare a botte e cercare l’avventura) è cazzuta come Leela; e il suo demone da compagnia Luci, doppiato da Eric André, è l’egoismo caotico in stile Bender. Tra i tre, solo Elfo sembra il frutto di un ragionamento; e non è una coincidenza che sia l’unico capace di strappare una risata semplicemente con il suo modo di essere. André se la cava bene con le sue battute, ma lo show perde il filo del suo personaggio* molto rapidamente, e se all’inizio è lì per corrompere e rovinare la vita di Bean, presto si ritrova solo a commentare quello che succede. I personaggi secondari tendono a essere monotematici – e il tema non è sempre comico, come John DiMaggio (la voce di Bender in persona) nel ruolo del re, molto più abrasivo che spassoso.

(*): In quanto show di Netflix, Disincanto cerca di serializzarsi almeno un po’. Ma il suo focus sulla trama orizzontale svanisce in fretta, e quando riappare finisce per rendere gli episodi più lunghi di quanto dovrebbero per essere divertenti. Come la prima puntata, che dura qualcosa come 35 minuti.

Non importa quanto possano diventare surreali i Simpson, c’è sempre quel nucleo base di Homer, Marge, Bart, Lisa e Maggie. Capiamo il loro comportamento e i loro desideri, e l’umorismo che possono generare in storie grandi e piccole. Futurama all’inizio ne era sprovvisto, ed è sbocciato solo quando Fry e gli altri hanno trovato un po’ di spessore. Ci auguriamo che Disincanto possa fare la stessa cosa, ma gli episodi funzionano meglio quando si concentrano sull’azione più spettacolare (come una specie di slasher movie ambientato nella casa di zucchero di Hansel e Gretel), non quando cercano di conquistare una risata.