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‘Diamanti grezzi’, smettetela di dire che Adam Sandler non è un grande attore

Il Re Mida comico del botteghino qui centra la performance della vita, che gli Oscar hanno assurdamente snobbato
4.5 / 5

Adam Sandler è la più grande contraddizione di Hollywood. Le sue commedie – a volte deliziose (Billy Madison, Un tipo imprevedibile), altre decisamente terribili (Un weekend da bamboccioni, Jack e Jill) – hanno incassato più di 3 miliardi di dollari in totale. Il comico del Saturday Night Live diventato un colosso della produzione è diventato ricco ripetendo negli anni la stessa formula vincente. Vedere per credere (o anche no) l’ultimo successo “made in Netflix” Murder Mystery, esempio perfetto della sua pigrizia comica.

Poi c’è l’altro Adam Sandler, l’attore che mette a tacere tutti i suoi detrattori. Nella storia dei Razzie – gli Oscar del peggio del cinema – solo Sylvester Stallone è riuscito a battere il risultato di Sandler, che si è portato a casa nove statuette. Ma che dire del ragazzo che entusiasmò i critici con la sua performance in Ubriaco d’amore di Paul Thomas Anderson (2002)? E dell’attore che è andato ben oltre il semplice compitino in Spanglish di James L. Brooks (2004), Funny People di Judd Apatow (2009) e soprattutto The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach (2017)? I giurati dell’Academy fingono di non vedere che Sandler è un clown perfettamente in grado di sedere al fianco dei migliori colleghi in circolazione.

Si vergognino dunque per aver snobbato la sua prova in Diamanti grezzi, il potente ritratto di un uomo sconclusionatissimo capace però di trasformarsi in un thriller pieno di tensione. Sandler veste i panni di Howard Ratner, il proprietario di una gioielleria del Diamond District di New York che gestisce la propria attività come un tossico che non ha niente da perdere, pronto a scommettere qualsiasi cosa anche se sa di poter fallire. Più in basso scende Howard, più forte si fa sentire l’interpretazione di Sandler, energica e feroce.

Non avrebbe potuto trovare compagni di strada migliori dei fratelli Josh e Benny Safdie, due registi dal talento incendiario. I loro quattro film indipendenti precedenti (soprattutto Good Time del 2017 con Robert Pattinson) li hanno preparati a quello che è il loro film ad oggi più personale. Figli di un ebreo siriano che lavorava davvero nel Diamond District, i Safdie sembrano nati per fare questo film. E, per rendere il tutto ancora più autentico, hanno ingaggiato, accanto a tanti nomi di mestiere, tanti attori non professionisti.

Sandler trova il tono perfetto e non lo abbandona per tutto il film, soprattutto quando il suo Howard viene messo all’angolo. Il frenetico copione che i Safdie hanno scritto con Ronald Bronstein lavora di sottrazione per esplodere solo quando ce n’è davvero bisogno. Esaltato dalle riprese “a spalla” del magnifico veterano della fotografia Darius Khondji (Seven, Midnight in Paris, C’era una volta a New York) e dalla colonna sonora di Daniel Lopatin, Diamanti grezzi non ha un attimo di cedimento. Ogni secondo di questo film ha valore, dall’incipit con l’estrazione dell’opale nero in Etiopia (non priva di una buona dose di critica sociale) al suo arrivo nel negozio di Howard.

La pietra, che dicono valere un milione di dollari, dovrebbe essere la via d’uscita di Howard dai debiti contratti col cognato Arno (Eric Bogosian), un tipo assai laido che non si fa commuovere dal legame familiare. Né lo fa la quasi-ex moglie di Howard, Dinah (Idina Menzel), i cui scoppi d’ira sono diretti anche a Julia (l’esplosiva rivelazione Julia Fox), la commessa del negozio di Howard con la quale lui ha una storia. Pensate che il suo lavoro sia già abbastanza movimentato? Date un occhio alla sua vita privata.

Per Howard, tuttavia, l’opale non sarà una soluzione, ma il principio della fine. Quando il suo socio Demany (LaKeith Stanfield) fa il suo ingresso nel negozio col campione dei Boston Celtics Kevin Garnett (in una partecipazione che fa a pezzi il suo stesso mito), Howard si fa convincere a lasciargli la pietra come portafortuna pre-partita. Perché? Perché Howard pensa avrà in cambio un’energia karmica positiva, avendo scommesso sul match dei Celtics.

Tutto questo porta al climax inarrestabile del film, una sequenza di tensione così profonda e palpabile da toglierti il fiato. Avevamo già visto Howard rassegnarsi al peggio quando i suoi creditori l’avevano pestato fino a lasciarlo privo di sensi, chiudendolo nel bagagliaio di una macchina fuori dalla scuola della figlia. Ma non è nulla in confronto alla crisi che scoppia nel suo negozio, dove finisce barricato insieme ad Arno e al suo braccio destro Phil (un davvero spaventoso Keith Williams Richards), in un confronto che diventa cronaca in tempo reale trasmessa perfino alla Tv, da cui il nostro potrà uscire solo vivo o morto. Howard è il ruolo di una vita: i Safdie avevano capito che Sandler avrebbe potuto reggere questa sfida così grande con il riflettore puntato solo su di sé.

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