Detroit, la recensione | Rolling Stone Italia
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‘Detroit’, il capolavoro che smaschera il razzismo americano

Il film scritto dall'accoppiata Kathryn Bigelow e Mark Boal racconta il dolore delle comunità nere con il piglio di un thriller e l'urgenza di un documentario

Non credo che le review stellari e il profumo di Oscar siano sufficienti a esprimere la grandezza di quello che la regista Bigelow e lo sceneggiatore Mark Boal hanno ottenuto con Detroit. È un violento capolavoro che scava nel passato americano per far emergere il razzismo sistemico che ancora infetta il nostro tempo.

Il film inizia nell’estate del 1967, con le strade della “Motor City” che vibrano di tensione per l’intolleranza, la disoccupazione e le diseguaglianze sociali. Il 23 giugno la polizia fa irruzione nel bar senza licenza di un quartiere a maggioranza nera, umiliando e provocando i presenti. Nella rivolta che segue, vengono distrutte vetrine, saccheggiati negozi e lanciate bombe incendiarie. L’area si trasforma in un teatro di guerra, con l’arrivo della Guardia Nazionale a completare il quadro.

Bigelow concentra la sua attenzione sull’Algiers Motel, dove un banale incidente si trasforma in un assedio da parte della polizia. Quella notte di terrore perdono la vita tre afroamericani, e altri nove (comprese due donne bianche) vengono picchiati brutalmente. Nel processo che segue – com’è facile immaginare – gli autori delle violenze saranno assolti. Detroit ha il piglio adrenalinico di un thriller, e la dolorosa urgenza di un documentario. È difficile da guardare, ma impossibile da ignorare.

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